L’ormai quotidiana crescita del prezzo del carburante agita il mondo dell’autotrasporto. Dopo le proteste dei camionisti dei giorni scorsi, ad alzare la voce adesso è l’Unatras (sigla che riunisce diverse associazioni datoriali) che lancia strali contro il governo. «Deve andare oltre l’indifferenza e dare risposte concrete già a partire dall’incontro fissato per il 17 febbraio – si legge in una nota -. Quello che si è abbattuto sul mondo dell’autotrasporto è un ciclone spaventoso. Il malcontento è diffuso tra le imprese e sta generando fenomeni di rabbia che rischiano di sfociare in proteste incontrollate».

Nel 2021 il prezzo del gasolio è salito quasi del 22% e in questo primo scampolo di 2022 la corsa verso l’alto non accenna a diminuire. Allo stato attuale, il costo di gestione di un singolo camion è aumentato di circa 9.300 euro l’anno – il doppio per i veicoli a metano -, con aggravio dei costi sui bilanci delle imprese, sui quali i rincari di energia e carburante incidono per circa il 37%. Il conto finale, stimato dalla Confartigianato, è pari a 535 milioni di euro di maggiori costi per le micro e piccole imprese del trasporto merci.

L’Unatras la mette giù durissima e minaccia la paralisi totale del settore: «C’è il rischio concreto che sia più conveniente spegnere i motori anziché continuare a viaggiare. La situazione è allarmante». È così che, già dalle prossime settimane, le aziende dei trasporti hanno deciso che si dedicheranno a «una serie di manifestazioni unitarie di autotrasportatori su diverse aree del territorio nazionale». Non solo, «in assenza di impegni precisi da parte del governo», non si esclude «la proclamazione di un fermo dei servizi». La proposta per il governo sarà di utilizzare l’extragettito che lo Stato ha incassato dalle accise sul prezzo alla pompa dei carburanti – quantificato in un miliardo di euro – per alleggerire la pressione sulle imprese. A questo proposito, le varie sigle degli autotrasportatori fanno notare che, secondo i dati Ocse, in Italia la tassazione sul carburante per il trasporto su strada, in rapporto alle emissioni di Co2, è la seconda più alta dell’Unione europea, superiore del 27.5% rispetto alla media continentale.

Cinzia Franchini, dell’associazione Ruote Libere, vede in questa crisi del carburante anche rischi per i lavoratori. «Continuare a scaricare i costi di questi aumenti sugli autotrasportatori – dice – significa esasperare il ruolo di cuscinetto che da anni il settore, suo malgrado, ricopre e significa di fatto aprire le porte all’illegalità, allo sfruttamento dei lavoratori e al lavoro nero. Davanti a tutto questo il governo non può più continuare a girarsi dall’altra parte».

Sul fronte sindacale il punto fermo è la necessità di evitare di scaricare le conseguenze di questa difficile situazione sui lavoratori. «Da tempo nell’autotrasporto, sul quale viaggia il 90% delle merci, abbiamo denunciato in tutte le sedi il problema della carenza di autisti nel settore e di salari non adeguati – dice Michele De Rose, segretario nazionale della Filt Cgil -. Abbiamo chiesto un intervento sulla formazione scolastica e c’è bisogno che il costo delle patenti e del mantenimento delle specializzazioni non sia a carico dei lavoratori». Questo per quanto riguarda la situazione generale dell’autotrasporto. «Il problema dell’aumento del costo dei carburanti – prosegue De Rose – mette in difficoltà il settore e noi vigileremo perché la questione non si scarichi sul lavoro e sulle condizioni salariali dei lavoratori, che già attualmente non sono adeguate».