Come un vecchio ritornello che ogni tanto molesta le nostre orecchie per il suo suono stantio, ritorna nel dibattito politico la logora argomentazione che “al centro si vince”. Da esponenti d’area moderata tale linea viene riproposta come una condotta di saggezza a cui la sinistra si dovrebbe uniformare, per non incorrere in gravi sconfitte. Si distinguono tra gli alfieri di questa novella, a cui la storia non insegna nulla, la Repubblica e Matteo Renzi, che continua a zampettare sulle rovine delle sue plurime sconfitte, come se fosse un esordiente.

Ha annunciato, per il prossimo anno, in occasione delle celebrazioni dei cento anni dalla nascita del Partito Comunista d’Italia, una manifestazione a cui sarà invitato niente meno che Tony Blair. Ricordate questo nome? Insieme a George W.Bush è stato l’inventore delle prime fake news di portata mondiale. Altro che Trump. Ha ingannato, con impavida capacità di mentire, l’opinione pubblica del suo paese, trascinandolo nella guerra contro l’Iraq, accusato di stare preparando un attacco mortale di lì a poche ore.

Quanta verità e aria nuova questo leader adamantino porterà al convegno di Renzi si comprende da sé, tanto più che è facile immaginare quanti professoroni, l’anno prossimo, si attarderanno a discettare sulle solite anticaglie di Gramsci, Togliatti, Bordiga e di altri santoni di un culto ormai dimenticato.

Come ricorda Filippo Barbera in un perspicuo articolo Radicalismo e riformismo (Il Mulino, 2020/5), che riporta tali notizie, la questione della centralità del centro, ora si ripresenta con uno schema nuovo di zecca, riformismo contro massimalismo, ed è sorto a ridosso della vittoria negli Usa di Joe Biden. Se non ci fosse stato il moderato Biden candidato alla presidenza, si sostiene, Trump avrebbe rivinto. Ergo, solo posizioni moderate, cioè riformiste portano alla vittoria.

È davvero sconcertante osservare quanta superficialità, disinformazione, pochezza intellettuale, assenza di sguardo storico, si condensano in queste analisi da rotocalco. Davvero bisogna ricordare che senza la sinistra e le posizioni radicali di tanti leader democratici Biden sarebbe stato sconfitto? Che tanti giovani delusi e rabbiosi contro il moderatismo del Partito democratico non si sarebbero neppure recati alle urne? Ma la mancanza di una lettura radicale, che non significa estremista o massimalista, ma che va “alla radice delle cose”(Marx), rovescia il reale senso della storia.

Questi agguerriti strateghi dimenticano infatti di chiedersi da dove è uscito Trump, perché continua a godere di tanto seguito. E non vogliono trarre conseguenze troppo scomode per il loro moderatismo. Il populismo trumpiano, è sorto in seno alla classe operaia disoccupata della Cintura della ruggine (Rust Belt), dove la delocalizzazione ha portato allo smantellamento di gran parte dell’industria pesante, nelle antiche aree del tessile manifatturiero, nelle periferie rurali impoverite.

Si è già dimenticato o non lo si è mai appreso, il fenomeno sociale più dirompente della storia recente degli Usa, vale a dire la pesante retrocessione della middle class? Il Partito democratico ha lasciato al proprio destino queste realtà sociali, esaltando la globalizzazione come il migliore dei mondi possibili, diventando, come dicono i movimenti radicali, quelli che guardano alla realtà e non alla pubblicità elettorale, “il partito di Wall Street”, cioé del mondo finanziario.

Ma i nostri riformisti sono davvero tanto ingenui da tirare fuori dai loro armadi questa roba vecchia che è invece da nascondere, perché de te fabula narratur? Come fanno a dimenticare che la scelta dei partiti comunisti e socialdemocratici europei, a favore del cosiddetto riformismo – che non è certo una linea riformatrice degli assetti di classe della società attuale, perseguita dalla sinistra di un tempo – ha portato all’abbandono progressivo della rappresentanza e tutela della classe operaia e dei ceti popolari? Come fanno a non osservare che proprio questi ceti, gravemente colpiti dalla delocalizzazione, dalla selvaggia pressione padronale, dal precariato endemico, sono diventati focolai di rancore sociale e di delusione politica, creando la base per l’esplosione del populismo?

In realtà la scelta di stare al centro, il moderatismo, ha significato una cosa sola per la sinistra: farsi accettare dai gruppi dominanti, difendendo gli interessi dei ceti medio-alti, e poter accedere agli esecutivi per fare meglio la stessa politica della destra. Vincere è parola rivelatrice del lessico degli ultimi decenni. A vincere non sono le masse popolari, ma è il ceto politico, ormai realtà separata, che entra nei governi grazie al successo elettorale, unico fine residuale dell’azione politica. Qui si trovano, a volerle scoprire, le origini del populismo europeo e mondiale, che minaccia le nostre democrazie e l’avvio dell’autodissoluzione della sinistra come forza riformatrice.