Le aree naturali protette della Basilicata sono un importante scrigno di biodiversità, le quali contano numerosi endemismi sia vegetali che faunistici e costituiscono importanti corridoi ecologici per tutto l’Appennino meridionale. Circa il 20% del territorio regionale rientra nella protezione ambientale, un dato relativamente alto se rapportato con le altre regioni italiane che, in una prima analisi, rende la Basilicata una regione virtuosa in merito alla conservazione della natura; tuttavia in una prospettiva più ampia, che vede il territorio lucano composta per circa il 70% da boschi, il dato risulta particolarmente esiguo. Nel provare ad affrontare le problematicità insite nelle aree protette della Basilicata, dalla tutela ambientale alla necessità di riattivare politiche gestionali virtuose, abbiamo intervistato uno dei più noti ambientalisti del panorama italiano: Fulco Pratesi, fondatore del Wwf e promotore di numerosi parchi nazionali, e tra questi, nei primi anni ’60, tra i fautori in Basilicata della nascita del Parco nazionale del Pollino.

Che cosa rappresentano per te le Riserve e la tutela della biodiversità?

Penso che le Riserve, le Oasi e i Parchi Nazionali siano ciambelle di salvataggio di un’umanità ormai suicida. Suicida perché sta distruggendo le stesse basi della sua civiltà, per questo è indispensabile preservare queste aree con tutti i mezzi e con tutte le forze che ci possono essere. Nel 1992 ero presente a Rio de Janeiro, quando furono varati tre grandi obiettivi tra cui la conservazione della diversità biologica. Era necessario salvaguardare questi brandelli di biodiversità ancora a disposizione dell’umanità, pensare alla vita che si conserva in questi meravigliosi luoghi.

Entriamo subito nel dettaglio: parliamo della Basilicata, una terra ricca di contraddizioni, in cui sembra che sia in atto una battaglia di «confine» tra i siti protetti e l’avanzare dell’attività antropica. Che cosa pensi della gestione politica delle aree protette lucane e del comportamento degli Enti regionali?

Ho sempre considerato la Lucania una regione assolutamente civile e preparata nel campo della conservazione della natura. Quando mi impegnai, ad esempio, per realizzare il Parco Nazionale del Pollino ho avuto sempre al mio fianco tecnici lucani competenti che mi hanno stimolato nel creare il Parco e questo, devo dire, che è un fattore molto importante. Di contro mi ha sempre meravigliato il fatto che, a discapito della ricchezza naturalistica, la Basilicata abbia solo tre Oasi Wwf, le quali dovrebbero essere dei simboli di tutela del territorio: sono attualmente il Lago San Giuliano, il Pantano di Pignola e Bosco Pantano di Policoro. L’Oasi di Policoro funziona molto bene, credo possa essere un modello per altre, il Lago di San Giuliano non so bene come venga gestita, mi dovrei informare, mentre il Pantano di Pignola è caduto purtroppo in uno stato di abbandono.

In effetti il Pantano di Pignola è vittima di un abbandono direi «burocratico». Potrebbe essere il risultato della confusione gestionale, visto che l’Oasi è gestita da ben cinque Enti, tra cui il Consorzio Industriale che poco c’entra con una Riserva.

Io contribuii a creare l’Oasi del Pantano di Pignola e durante la mia visita, tempo fa, ne constatai anche gli sviluppi, come il centro visita, i percorsi naturalistici e i capanni di osservazione. Nel tempo, c’è stato un calo molto duro e secondo me non è un buon esempio di gestione da parte della Regione Basilicata, che ripeto ho sempre considerato essere in prima fila per la conservazione. L’Oasi di Pignola è un simbolo molto importante per il territorio lucano, penso che tutto quello che si possa fare bisogna farlo per salvarla dal degrado al fine di farla ritornare un modello di tutela. È chiaro che gli Enti preposti alla conservazione dell’area non si pongono bene per la sua conservazione. L’esperienza delle oltre cento Oasi che il Wwf ha, dalle Alpi fino alla Sicilia e alla Sardegna, mi porta ad affermare che quanti più Enti sono dentro alla gestione di queste aree tanto più possono maturare problemi burocratici, interessi e avidità politiche che portano a distruggere dei patrimoni creati per essere gioielli e tesori regionali.

Nonostante tutto, il Pantano di Pignola resta un’Oasi importante per la biodiversità. Penso ad esempio alla lontra, di cui è stata attestata la sua riproduzione, alla cicogna nera e alla sua nidificazione, al gatto selvatico recentemente filmato e agli uccelli migratori… Da questo punto di vista, la biodiversità può essere il volano per farlo ripartire, anche nell’ottica di forme di ecoturismo

Completamente d’accordo. Bisogna però preventivamente sfoltire, sfrondare molti interessi che gravano su questa bellissima area. È necessario riconquistare una gestione unitaria dando la possibilità anche alla gente del posto di intervenire attivamente eliminando i tanti ostacoli burocratici che molte volte nascondono anche interessi inconfessabili.

Torniamo alla Convenzione di Rio de Janeiro: a partire dal 2021 le Nazioni Unite hanno proclamato il decennio dedicato al ripristino degli ecosistemi degradati e distrutti. Quale monito alle nuove generazioni che si approcciano alla tutela dell’ambiente?

Conservare, fino all’ultimo metro quadrato, ogni luogo che ancora conservi una parte di biodiversità. La biodiversità può annidarsi anche in luoghi ristretti, addirittura nei cortili delle scuole. Tutto questo va fatto per cercare di avvicinare i giovani e i bambini a una conoscenza naturalistica che è indispensabile e che, purtroppo, è stata molto negletta nel nostro Paese. Ricordiamoci che la Riforma Gentile del 1923 ha eliminato dagli insegnamenti scolastici le scienze naturali e questo è un peso che ci portiamo sulle spalle: ancora oggi la conoscenza naturalistica è molto bassa. Questa è una grande sfida che dovrebbe portare avanti il Governo, ossia l’insegnamento e la promozione in tenera età delle scienze naturali e dell’educazione ambientale.

* Fuorisentiero