Il sindacato deve cambiare per evitare il tramonto. E per questo sono necessarie riforme coraggiose capaci di rimettere in discussione prassi e strutture organizzative centenarie. È la tesi provocatoria del libro di Giulio Marcon, Il sindacato nell’Italia che cambia (e/o, pp. 144, euro 10), con prefazione del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. L’idea di Marcon è radicale. L’unica possibilità per ritrovare un ruolo dopo la crisi del modello conflittuale fordista è quella di diventare un sindacato di strada che superi l’attuale divisione in categorie professionali e rimetta in discussione il modello verticistico. Una rivoluzione dello schema basato sulla contrattazione per i lavoratori «attivi» e sulla difesa dei diritti dei pensionati. Marcon propone tra le altre cose il superamento dello Spi (che rappresenta oggi circa la metà degli iscritti Cgil) e la creazione di sindacati professionali dei pensionati come negli altri paesi europei.

TRE SONO I NEMICI da combattere: la burocratizzazione, il corporativismo e il consociativismo. Si tratta dei mali da superare per evitare non solo il declino del sindacato e il suo distacco da un mondo del lavoro frammentato e disperso nel territorio, ma anche un’involuzione politica che rischia di accumunare le organizzazioni dei lavoratori alla «casta». Il titolo del libro potrebbe essere fuorviante perché non si tratta di un saggio sul sindacato e sulla riformulazione dell’idea del «soggetto politico»; non ci sono per esempio approfondimenti specifici sulle politiche industriali sostenibili in vista di una transizione che rischia di far saltare migliaia di posti di lavoro.

Non si propongono neppure riflessioni specifiche sulla rivoluzione in corso dell’intelligenza artificiale e dei processi di automazione. Marcon sceglie piuttosto una tipologia di sindacalista traendo spunto da figure storiche che sono state messe ai margini e dimenticate. Si parla per esempio della figura di Osvaldo Gnocchi Viani, socialista atipico di cultura mazziniana, pacifista e femminista ante litteram, animatore di «un socialismo dal basso», osteggiato però in casa sua da Filippo Turati, il capo socialista che credeva in un sindacato statalista secondo gli schemi della Seconda Internazionale.

DAL PUNTO DI VISTA STORICO i riferimenti di Marcon sono quindi il socialismo confederale belga, il Guild socialism in Gran Bretagna, il movimento delle Camere del lavoro in Italia e il mutualismo ottocentesco. Altre basi teoriche vengono cercate nelle elaborazioni di Bruno Trentin (e nel suo riferirsi all’esperienza di Simone Weil), attraverso l’analisi dei discorsi congressuali, ma anche andando a pescare a piene mani in quei Diari pubblicati postumi dove il grande dirigente sindacale e intellettuale si lascia andare a considerazioni molto critiche sul sindacato e la sua «burocratizzazione». Altro riferimento importante è Vittorio Foa. Marcon ci tiene comunque a specificare che quella del sindacato di strada non è solo un’idea astratta. Ci sono infatti molte esperienze già in atto in Italia, a partire da quelle avviate dalla Flai Cgil con i braccianti.

Il libro sarà presentato lunedì alle 17 presso la sala conferenze della Fondazione Basso a Roma (via della Dogana Vecchia 5). L’obiettivo è quello di far dialogare i dirigenti sindacali con i rappresentanti dei movimenti. Si confronteranno Luciana Castellina, presidente onoraria dell’Arci, Monica Di Sisto, presidente di Fair Watch, Walter Massa, presidente nazionale Arci, Andrea Borghesi, segretario generale Nidil Cgil, Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil, Francesco Sinopoli, presidente della Fondazione Di Vittorio. Coordina Chiara Giorgi.