Sono ormai una celebrità internazionale, tant’è che persino il «Financial Times» ha dedicato loro un articolo che li osanna. L’Umarèl (mutato ormai in Umarell), che in bolognese significa Omino, nel plurale locale farebbe Umarì e gli anglosassoni hanno ribattezzato Umarells, è quel tipico uomo in pensione che trascorre la maggior parte del tempo a guardare gli altri lavorare soprattutto sui cantieri stradali o di consistenti palazzi. Per dire, se cercate su internet Umarell, ai primi posti vi compare la voce di Wikipedia che ne spiega non italiano, ma in inglese, la rava e la fava, cioè che chi ha cominciato a chiamarli così nel 2005 è lo scrittore Danilo Masotti (che ne ha pure scritto un libro e creato un blog), che Riccione nel 2015 ha stanziato 11mila euro affinché gli Umarell controllassero i lavori in città, che San Lazzaro di Savena ha istituito il premio Umarell dell’anno, che sempre a Bologna gli hanno dedicato una piazzetta (di cui poi hanno rubato la targa), che esiste una app con la mappa dei lavori in corso per facilitargli la vita, che «Topolino» ha dedicato loro un episodio. Aggiungiamo che Fabio Concato ha di recente intitolato una canzone L’Umarell e possiamo scommettere che fra poco saranno famosi come la pizza e la pasta.

Di solito, più l’opera è gigantesca, più loro sono numerosi e attenti. Osservano i movimenti di ruspe, camion, gru, operai, carichi, scarichi, commentano e, se ti fermi a parlare, ti dicono quasi sempre che lavoravano come muratori, geometri, elettricisti, idraulici o qualcosa che ha a che fare con montaggi e smontaggi. Se abitate a Milano, basta andare vicino a piazza Gae Aulenti e ne troverete una quantità affacciati sui lavori dell’ultimo e imponente grattacielo di cemento, ferro e vetro. Gli Umarell esistevano già quando ero bambina e si dividevano in due rami di competenza, l’edilizia e la politica. Questi ultimi, non potendo assistere in diretta ai lavori parlamentari, eleggevano a proprio pulpito uno spazio pubblico che fosse una via o una piazza e lì tenevano le loro concioni circondati da un gruppo di adepti. Nella cittadina dove abitavo, il più famoso era il Generale che tutti chiamavano così per un suo passato in qualche ramo dell’esercito. Sempre impeccabile e rigido come un’asta, il Generale amava tenere le sue conferenze deambulando per il viale alberato del centro e propinava al suo capannello teorie e punti di vista su partiti, governi, leggi, strategie, poi ognuno tornava a casa senza aver cambiato opinione. La sua era pura opera di vanità. Ogni tanto compariva accompagnato da una signora elegante, che non era sua moglie ma l’eterna fidanzata, e lì gli altri Umarell capivano che non era giorno di comizio, ma di struscio perché il Generale stava ben attento a non mischiare la galanteria con le opinioni.

A parte le differenze di interessi, gli Umarell edili e politici hanno una cosa in comune: l’ordine impeccabile dell’abito e della persona. Le loro giacche, camicie e pantaloni sono sempre freschi, stirati e spazzolati, come barba e capelli, le scarpe lucide, usano solo fazzoletti di stoffa, compaiono e scompaiono alle stesse ore fra la colazione e pranzo, ma non sono mai appesantiti da borse della spesa. Significa che a casa hanno chi lavora per loro mentre loro escono a guardare gli altri lavorare. Sospetto anche che tali mogli siano così solerti per toglierseli qualche ora dai piedi. Vi immaginate la sensazione di avere sempre in casa un Umarell che, con le mani dietro la schiena, osserva e giudica tutto quello che fate? Praticamente una tassa sul collo.

mariangela.mianiti@gmail.com