Anche a Islamabad la piazza si muove sotto il nome altisonante di Azadi March, marcia della libertà, una carovana che ha raggiunto la capitale dalla provincia meridionale del Sindh chiedendo nuove elezioni e le dimissioni del premier Imran Khan, eletto un anno fa.

Ma questa manifestazione non ha nulla a che vedere con quel che agita il Libano o il Cile, l’Algeria o l’Iraq. Le rivendicazioni si basano su accuse di brogli e sul fatto che Imran si sarebbe dimostrato incapace sia sul fronte economico sia sulla difesa del Kashmir. La manifestazione però, cui ha aderito tutta l’opposizione, non nasce dal basso: è diretta da un partito e soprattutto dal personaggio che lo incarna.

Si chiama Fazlur Rehman ed è un maulana, un ulama, ossia un teologo. Teologo dell’islam politico come dimostra il suo partito, la Jamiat-e-Ulema-e-Islam F o JUI-F, dove F sta per l’iniziale del suo nome. Leader di una coalizione di partitini islamisti – la Muttahida Majlis-e-Amal – è un radicale conservatore, buon amico dei talebani afgani e in rotta di collisione col nuovo premier che, in qualche modo, ha cercato di porre un freno alla deriva islamista del Pakistan. Che non sia un progressista e che la sua marcia sia ben diversa da quanto accade nelle altre piazze del pianeta lo si capisce dal fatto che, al suo corteo, non c’è nemmeno una donna il cui ruolo – è stato scritto sui volantini della marcia – è «stare a casa a digiunare e pregare».

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Le giornaliste sono state allontanate e insultate anche se poi Fazlur ha addolcito i toni: «Possono assistere se vestite adeguatamente». La sua marcia però è un successo. Nonostante la polizia abbia valutato in 30mila i marciatori e in 1200 i veicoli, a giudicare dalle riprese aeree i manifestanti sembrano molti di più. E ci sono anche i miliziani di Ansar-ul-Islam, braccio armato del partito per cui è stata chiesta in ottobre la messa al bando. Vestiti di giallo circondano il leader sempre addobbato, più che da ulama, da nawab. Ma far leva sul malcontento paga.

Partita il 27 ottobre, l’Azadi March ha attraversato Sukkur, Multan, Lahore e Gujranwala per raggiungere Islamabad nella notte tra giovedì e venerdì quando Fazlur ha tenuto il suo comizio. Ma mentre i dignitari degli altri partiti di opposizione (la Lega della famiglia Sharif, il Ppp dei Bhutto, e l’Anp, il partito secolare Awami) han mantenuto un basso profilo, Fazlur le ha sparate grosse: ha dato due giorni di tempo a Imran per dimettersi e lo ha minacciato: «Non abbiamo più pazienza. Stiamo concedendo due giorni di tempo, altrimenti le persone potranno con la forza entrare a palazzo e arrestare il primo ministro».

Un po’ troppo anche per Imran che fino all’ultimo ha cercato di mediare: «Sono finiti i giorni in cui si usava l’Islam per guadagnare potere», ha detto da Gilgit e ieri il governo si è rivolto al tribunale per denunciare il maulana. Imran potrebbe anche decidere di far cessare il sit-in se si prolungasse o impedirgli di raggiungere la zona rossa di Islamabad se il maulana cercasse di farlo. Fazlur potrebbe accontentarsi del bagno di folla oppure cercare di forzare.