Un incontro di routine, fisiologico per una crisi di governo e anche se non già fissato, comunque previsto. Il Quirinale sdrammatizza. Ma per quanto i colloqui tra il capo dello stato e il presidente del consiglio incaricato siano di prammatica nei giorni della formazione di un governo, quello di ieri mattina tra Sergio Mattarella e Giuseppe Conte, all’indomani del rilancio di Luigi Di Maio sul tavolo dell’accordo con il Pd, ha evidentemente avuto all’ordine del giorno un problema in più, in una tessitura già complicata, tanto che tra i parlamentari che tifano accordo si è subito diffuso la paura che Conte fosse salito al Colle per gettare la spugna. Il presidente ha voluto ovviamente essere informato dello stato dell’arte e il premier uscente e di nuovo incaricato ha messo tutte le questioni dolenti sul piatto, ma nonostante le voci di una quasi resa è determinato ad andare avanti.

Il problema ha soprattutto un nome e cognome: appunto Luigi Di Maio. Sui programmi l’intesa tiene. Posto che per quanto riguarda i decreti sicurezza ora anche il Pd si accontenta del «recepimento delle indicazioni del capo dello stato», nell’incontro di ieri con la delegazione 5S avrebbe ottenuto il sì a una nuova legge sull’immigrazione, oltre che l’ok sul taglio del cuneo fiscale. Il Movimento 5 Stelle per ora porta a casa lo stop a nuovi inceneritori e a nuove concessioni sulle trivelle, la revisione delle concessioni autostradali (il dem Delrio si era detto già d’accordo, Di Maio aveva provato a rialzare la posta parlando di revoca), il taglio dei parlamentari nel primo calendario utile della camera, che non significa subito. E ancora slogan come lotta all’evasione fiscale ma anche «all’immigrazione clandestina e alla criminalità».

Se le tensioni si concentrano soprattutto sul ruolo del vicepremier uscente, sul profilo dell’intero governo e dei ministeri chiave Conte è attento ai suggerimenti del presidente. Per l’Economia non sembra in discussione l’idea di un tecnico: oltre a quello di Lucrezia Reichlin si fa anche il nome di Salvatore Rossi, ex direttore generale di Bankitalia. Ma proprio quest’ultimo era finito nel mirino di Matteo Salvini e Luigi Di Maio ai tempi della guerra gialloverde contro palazzo Koch, tanto che aveva annunciato con qualche settimana di anticipo l’addio all’incarico dicendosi indisponibile per un secondo mandato.

Anche per il ministro dell’Interno, ribaltando una consuetudine, va per la maggiore l’ipotesi del tecnico (più Gabrielli che Morcone, contrario ai dl sicurezza) forse perché l’ultima esperienza di un politico che ha usato il Viminale come ribalta della sua propaganda ha provocato uno shock. In ogni caso per i ministeri più «pesanti» si lavora sull’«autorevolezza». Tradotto, e questo vale anche se non soprattutto per il Pd: non si deve spacciare per rinnovamento la sostituzione di facce note in rappresentanza delle rispettive correnti con facce di secondo piano delle stesse correnti.

L’avvocato a questo punto dovrà stringere, Mattarella non intende andare per le lunghe. L’unica alternativa al Conte 2 sono le elezioni.