Intorno alla musica, anzi dentro, Giampiero Bigazzi ci gira da quarant’anni e più. Orgoglioso provinciale di San Giovanni in Valdarno, Arezzo, Bigazzi ha perso i capelli mentre passava dal rock al beat, dalla musica popolare alla house music, dall’elettronica all’ambient. Senza perdere, però, un grammo di passione e continuando a cospargersi la testa con la brillantina delle idee. La sua storia, sempre condivisa con il fratello Arlo, è la storia di un musicista e di un’etichetta, Materiali Sonori, che può fregiarsi a titolo giustissimo di due aggettivi importanti: indipendente e, soprattutto, ostinata. Forte dell’ironia toscana cui solo i romani possono contendere il primato, questo omone armato di occhiali e di un sorriso inossidabile, apre il giro delle chiacchiere così «Se dovessi definire la caratteristica principale di Materiali Sonori, direi che siamo stati sempre fuori moda. Per citare un paio di esempi: abbiamo precorso la House Music con una quindicina di anni di anticipo. L’approdo alla World Music ha registrato un certo ritardo. Anche se, ed erano gli inizi degli anni ’70…».

Stop, Bigazzi. Andiamo per ordine, e cominciamo da lei. Lungo e necessario respiro: «Il mio rapporto con la musica risale all’epoca dell’adolescenza. E si è concretizzato, parlo della fine degli anni ’60, in quelli che allora si chiamavano dancing. Suonavo il basso in un gruppo beat. Poi, anche per le scelte che avevo fatto all’università, ho cominciato a interessarmi alla tradizione musicale orale, al canto politico. Nello stesso tempo mi affascinava il rock prog, che a Firenze aveva il suo tempio in un locale underground del centro storico, lo Space Electronic, dove, tra gli altri, ho ascoltato i Van der Graaf Generator. La strana fusione dentro di me di queste due realtà musicali così diverse, mi spinse verso il Nuovo Canzoniere Italiano di Ivan Della Mea, Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli, Piero Nissim, Fausto Amodei». È il ’74, Giampiero molla il basso per la chitarra, forma un gruppo, Il canzoniere del Valdarno, in repertorio canti di lotta, che aderisce alla Cooperativa l’Orchestra, di cui fanno parte gli Stormy Six, Moni Ovadia, Alberto Camerini. I palchi sono quelli delle Feste dell’Unità e dei concerti alternativi. «Ricordo un concerto al Palasport di Roma per finanziare Il manifesto. Suonavamo prima di Fabrizio De Andrè, che portava dal vivo il suo ultimo disco, Storia di un impiegato».

Cliccando recording sul sito di Materiali Sonori, e scorrendo verso il basso la lunga lista dei titoli in catalogo, l’ultimo, vale a dire il primo, porta la data del 1977 e si chiama Cade l’uliva. «Lo registrammo in un locale della scuola di San Giovanni, le voci erano quelle dei bambini di una terza elementare; i brani li avevamo ripescati dalla memoria dei vecchi delle campagne, dei genitori, dei parenti. Un disco francamente inascoltabile, ma pur sempre la nostra prima pietra». Da Cade l’uliva in poi, l’edificio musicale dell’etichetta verrà costruito, ufficialmente a partire dal 1979, grazie a un impasto, «uno strano connubio», lo chiama Bigazzi, fatto di rock, suoni sperimentali, ambient, elettronica, canzone popolare. «Il salto che ci portò a divenire discografici e produttori avvenne agli inizi degli ’80, dentro la new wave fiorentina. Un periodo fantastico, durante il quale tenemmo a battesimo i Liftiba, i Diaframma, i Bisca, i Neon… In piena disco music ci inventammo un’alternativa che fosse sì divertimento, ma più raffinato. Da lì nacque, tempo dopo, la House Music. Ricordo con orgoglio la scoperta di un personaggio che ancora oggi, sessantacinquenne, va in giro per il mondo a fare il dj ed è considerato un vero e proprio mito. Si chiama Maurizio Dami, in arte Alexander Robotnik. Un suo pezzo techno, Problèmes d’amour, è stato un successo internazionale, pubblicato anche dalla Warner».

Trentacinque anni di lavoro, quattrocento titoli prodotti o distribuiti, scelte che possono sembrare contraddittorie o nulla entrarci l’una con l’altra. Luciano Berio e John Cage, Brian Eno e Nusrat Fateh Ali Khan, Ginevra Di Marco e David Sylvian sono soltanto pochi esempi dello strano connubio su cui si fonda Materiali Sonori. «Siamo un’etichetta gestita da musicisti con un approccio da musicisti. Mio fratello Arlo ed io leggiamo il catalogo come un’opera unica e nostra, un riflesso dei nostri percorsi. E in questi percorsi sono state fondamentali le collaborazioni aperte con etichette estere di area indipendente, che distribuiamo in Italia: le tedesche Embryo, Asphalt Tango e Tropical Music; la Sire Records di New York, la Independent Recordings messicana, la Crammed di Bruxelles. A proposito della Crammed, forse dobbiamo proprio a lei il nostro ritorno al passato. Da Peter Gabriel in poi, la musica popolare era diventata World Music. Contaminava generi e culture del pianeta, li mescolava. E mescolare è nel Dna di Materiali Sonori. Quando la Crammed, verso la fine degli anni ’90, iniziò a produrre artisti quali la Kocani Orkestar , gli africani Staff Benda Bilili e Konono N°1, questo fu per noi uno stimolo a ripercorrere vecchie strade in modo nuovo. Nel 2002 realizzammo un disco, Ulixes, che portò in studio la Kocani, una fanfara macedone che suonava ad orecchio in maniera formidabile, e Harmonia Ensemble, un trio di professionisti della musica classica. E poi l’esperienza di Banda Improvvisa, diretta da me e Orio Odori, nata dalla Filarmonica Giuseppe Verdi di Loro Ciuffenna, nell’Aretino: decine di concerti italiani con Daniele Sepe, Alessandro Benvenuti, Bandabardò, e all’estero, Cuba compresa, dove abbiamo suonato insieme alla Banda Municipal de Santiago».

Altre magnifiche misture in catalogo sono quelle del grande Hector Zazou, scomparso nel 2008, con Barbara D’Eramo e Stefano Saletti;Nuove Tribù Zulu e Gypsies from Rajasthan, la Portofranco Multicolor Orchestra, Novum Gaudium e Nusrat Fateh Ali Khan. Dal 2005, Materiali Sonori sale sul palco con Canti Erranti, teatro di narrazione e tasselli musicali. Di recentissima data il contributo economico della Regione Toscana a «Materiali Sonori Patcwork», laboratorio finalizzato alla diffusione della cultura musicale contemporanea e alla promozione della ricerca e della sperimentazione; un progetto rivolto ai giovani per consentire loro di ampliare conoscenze ed esperienze.

Bigazzi: esiste ancora la canzone politica? «Direi proprio di sì. Basterà citare Daniele Sepe, i Modena City Rambler, Ginevra Di Marco qui in Italia. Fuori dai nostri confini, i testi di molti artisti sono denunce di ingiustizie, di condizioni di vita inaccettabili, di corruzione dei poteri. Una cosa è cambiata, in senso positivo: c’è, rispetto al passato, una grande cura per l’aspetto musicale. E questo consente di arrivare a un pubblico più vasto».

E Materiali Sonori domani? «Continueremo ad essere fuori moda, ad arrivare troppo in anticipo o troppo in ritardo. Altrimenti non saremmo più noi».