Al sorgere del sole, il gallo non canta e non suona più. Tempi difficili per la Sun Records, l’etichetta di Memphis che ha cullato la nascita del rock’n’roll, col suo logo di un pollastro scuro in campo giallo contornato di raggi del sole e dalle biscrome. Nelle scorse settimane il catalogo della Sun è stato acquistato dalla società Primary Wave, una casa editrice indipendente newyorchese che ha già rilevato i diritti del repertorio di Bob Marley, Burt Bacharach, Smokey Robinson, Whitney Houston e Mark Ronson.

L’accordo contempla tutte le incisioni dell’etichetta Sun – tranne l’opera omnia di Elvis Presley detenuta dalla Sony – e di alcune sue label sussidiarie, per un totale di seimila brani tra cui Folsom Prison Blues e I walk the line di Johnny Cash, Great Balls of Fire di Jerry Lee Lewis e Blue Suede Shoes di Carl Perkins. In questi tormentati tempi di pandemia, la corsa all’oro delle royalties musicali ha avuto una forte accelerazione. Bob Dylan ha venduto per una cifra vicina ai 300 milioni di dollari tutte le sue composizioni, oltre 600, dagli anni sessanta a oggi all’Universal Music Publishing. E la Sony ha preso una quota di Emi Music Publishing (comprendente i canzonieri di Carole King, i Queen e Kanye West). Ogni volta che un brano viene trasmesso in streaming o alla radio, usato nella colonna sonora di un film o di uno spot pubblicitario, genera ricavi e il valore di tutto l’universo del rock classico è schizzato alle stelle.

Gli investitori di queste società come la londinese Hipgnosis Songs Fund scommettono di guadagnare sulle royalties generate da artisti come Blondie, Beyoncè e i Killers. Il canadese Neil Young gli ha venduto la metà dei diritti delle sue 1180 canzoni, tra cui hit come Heart of Gold, Southern Man o Cowgirl in the Sand, per una cifra a sette zeri. La cantante dei Fleetwood Mac, Steve Nicks, ha ceduto per 100 milioni di dollari la quota di maggioranza, l’80% delle sue canzoni, a Primary Wave. In Italia le collezioni di Lucio Battisti e di Celentano sono gelosamente custodite dalle famiglie mentre Mina, Vasco Rossi e Ligabue sono spesso utilizzate dal cinema e dalla tv.

TORNIAMO alla Sun Records, la piccola label fondata da Sam Phillips all’insegna del suo perenne ottimismo, un nuovo giorno è un nuovo inizio per questo tecnico del suono che si era trasferito in Tennessee, nel dopoguerra. Aveva affittato dei locali al 706 di Union Avenue, aprendo le porte del suo Memphis Recording Service, il 3 gennaio 1950, per offrire la possibilità di registrare i loro brani al folto gruppo di musicisti locali. Ai tempi, Memphis era un luogo felice per la musica dove si potevano ascoltare tantissimi generi diversi: gospel, blues, hillbilly, country, boogie, and western. In particolare Phillips era incantato dalla grande quantità di musicisti afroamericani e dalla loro energia contagiosa, ascoltata sulle importanti stazioni radio Wrec e Wdia, quelle che amavano Howlin’ Wolf e Muddy Waters. Lo slogan della società era We record anything-anywhere-anytime. «Volevo offrire una sala ai musicisti neri del sud che vogliono incidere un disco ma non sanno dove andare».

A TUTTI dava un’occasione per fare dischi che si vendevano in un circuito assai limitato, il mercato dei race records. Poi però la sua etichetta, la Sun Records Company, divenne la pietra miliare della storia del rock’n’roll. Nel 1954 un camionista, alto e belloccio, Elvis Presley, pagò 4 dollari per incidere alcune canzoni al Sun Studio. I demotape non convinsero Phillips che gli suggerì di fare qualche prova con musicisti di gospel, country e rhythm and blues. A fine giugno Phillips chiamò il chitarrista Scotty Moore e il bassista Bill Black che cominciarono a provare con Elvis a casa di Moore. Venne fissata una seduta di registrazione per I Love You Because, una ballata country di Leon Payne. Durante una pausa, Presley scherzando si lanciò in una versione veloce e improvvisata di That’s All Right, un blues di Arthur Crudup. Phillips fu colpito e fu entusiasta, finalmente, del risultato. Altri esperimenti avvennero il giorno seguente con Blue Moon of Kentucky, una canzone bluegrass di Bill Monroe che fu molto accelerata. Il chitarrista Scotty Moore aveva paura che la fusione di blues nero e country bianco potesse offendere le stazioni radiofoniche della zona ma Phillips aveva intravisto il fascino commerciale dei provini e pubblicò il quarantacinque giri, che conteneva That’s All Right e Blue Moon of Kentucky.

EBBE un successo travolgente, con quella carica di ballabilità, sensualità e orecchiabilità che supererà le barriere razziali o di genere, passando rapidamente da fenomeno locale a divo nazionale. Il ragazzone di diciannove anni firmò un contratto discografico con la Sun Records, l’etichetta preferita da una nutrita schiera di talenti in quei cinque anni dorati, dal 1954 al 1959, con l’uomo in nero, il cantautore Johnny Cash, l’indiavolato e inimitabile pianista Jerry Lee Lewis, e il «Rockin’ Guitar Man», Carl Perkins. Quattro artisti denominati The Million Dollar Quartet. E subito dopo di loro vennero Roy Orbison, Sonny Burgess, Charlie Rich, Billy Lee Riley, The Prisonaires. Tutti scalarono le classifiche di vendita pop acquisendo fama internazionale.

Nel 1969, Phillips decise di passare la mano e vendette la casa discografica a Shelby Singleton, un produttore e imprenditore che trasferì la sua base a Nashville, continuando a ristampare i grandi classici degli anni Cinquanta e a stringere accordi commerciali, fino a lanciare un Sun Diner, una tavola calda con tutte le memorabilia – strumenti, manifesti, fotografie – dell’etichetta alle pareti.
Nel 2000, per i 50 anni della Sun Records, il patron dell’Atlantic, Ahmet Ertegan, vecchio amico di Phillips, decise di festeggiare con un documentario di due ore (visibile in chiaro su Youtube) e un disco celebrativo dove tanti grandi del rock’n’roll, influenzati dai successi della Sun, li rifacevano col proprio stile, da Paul McCartney a Elton John, da Tom Petty a Bob Dylan, passando per Eric Clapton e Robert Plant, spesso accompagnati dai sidemen di Elvis, il chitarrista Scotty Moore e il batterista D. J. Fontana. L’album e il film s’intitolano Good Rockin’ Tonight, the legacy of Sun Records, uno smagliante tributo – vitalissimo e attuale – alle radici del rock’n’roll con tante uniche sessioni di registrazione che spandono l’indimenticabile feeling del Sun Sound, quella connessione spirituale tra ognuno, la quintessenza del blues coniugata con la vivacità del suono fortemente ritmato. Con alcuni momenti magici quando Rufus Thomas intona Bearcat, la risposta a Hound Dog, che imita i versi e i miagolii del gatto o una riunione di anziani musicisti del Mississippi Delta o le giovani band che bevono il vino fino al fondo della bottiglia, Drinkin’ Wine Spo-Dee-O-Dee.

JACK WHITE, ex White Stripes, grande sostenitore del Record Store Day, nel 2013 ha ripubblicato i 45 giri originali degli anni ’50 e ’60 accordandosi con gli ultimi proprietari della label. Un’eredità palpitante, tanto che il Sun Studio è diventato un museo (con visite guidate, segnalato da una targa come historic landmark della cultura americana), un patrimonio sonoro venduto oggi dalla famiglia Singleton che non ha più discendenti. Nelle stradine di Nashville e Memphis, il logo del volatile domestico continua ad annunciare Good rockin’ tonight, c’è del buon rock stanotte.