Eccola la crescita economica celebrata a reti unificate: c’è un record del Pil (+6,2%), dovuto a un rimbalzo parziale dopo il crollo terrificante causato dal Covid (-8,9%), e un record di precariato con un aumento dell’occupazione legato in maggioranza a rapporti di lavoro a termine. Le più escluse sono le donne. Questo è un paese che, anche con il «governo senza formule politiche» non riesce a garantire il diritto al lavoro per loro.

LO DICE L’ISTAT. A ottobre scorso, su 390 mila occupati rispetto allo stesso mese del 2020, oltre due terzi sono uomini, 271 mila, le donne sono 118 mila. Ma il record è stato registrato nel mese di ottobre: gli occupati sono aumentati nel complesso di 35 mila unità su settembre ma per le donne la crescita è stata nulla. È questo il dato che ha colpito. Ma va relativizzato. In un momento di incertezza come questo l’andamento è molto altalenante e cambia di mese in mese. A settembre era la componente femminile a crescere di più. Lo stesso ragionamento vale per la disoccupazione. Il dato contingente è questo. Se per gli uomini il tasso dei senza lavoro è diminuito di 0,9 punti su base tendenziale per le donne il calo è stato di 0,3 punti, in pratica è invariato.

IL RISULTATO non cambia. L’andamento annuale conferma che le donne sono le più colpite. Dunque, non solo lavorano meno, ma sono anche più disoccupate. La ripresa, per loro, non è mai iniziata. E come avrebbe potuto se, prima e dopo i lockdown, l’intera società e il suo mercato del lavoro sono rimasti uguali?

UN PROBLEMA remotissimo per i politici. Ad ascoltare le reazioni, soprattutto dal fronte del Pd, ieri quasi tutti gli interventi invocavano più Welfare per le donne. Certo, fondamentale. Ma il punto è anche il lavoro che non trovano e, se lo trovano, finisce subito. Chiara Gribaudo e Tommaso Nannicini hanno invocato «scelte radicali» come il «part-time» di coppia, «congedi parentali egualitari» coperti al 100%».

QUELLO che è certo è che la «ripresa» sta riportando a galla il vecchio mercato del lavoro che si era bloccato. Nell’elaborazione dell’Istat un altro dato, quello sulla tipologia contrattuale dei lavori che aumentano, lo conferma. Si tratta del lavoro dipendente e, nello specifico, i contratti a termine: +384 mila dipendenti a termine rispetto a 137 mila «permanenti» sull’anno. Ancora più interessante è il dato sull’aumento dell’occupazione nella fascia tra i 15 e i 24 anni. Secondo l’Istat sono 129 mila su 390 mila occupati in totale. A ottobre sono stati 38 mila, in pratica la totalità dell’aumento sul mese.

LA NOVITÀ, ma potrebbe essere contingente, è un aumento di partecipazione. È possibile che la gran parte sia precaria. Questo vale in particolare più per la fascia di età tra i 25 e i 34 anni che per quella più giovane. Per il resto tornano a crescere i lavoratori over 50. E si conferma un’altra costante: il calo del lavoro autonomo che, di solito, registra una maggiore partecipazione delle donne: ha perso 9 mila unità su settembre e 132 mila in un anno, da ottobre 2020. Non è chiaro se questi lavoratori, colpiti evidentemente dalla crisi, siano stati assunti a tempo determinato oppure risultino tra i disoccupati.

VISTE le condizioni, allora, di quale «ripresa» dell’occupazione parla il mondo parallelo della politica di palazzo? La si desume dall’aumento del tasso di disoccupazione complessivo. Secondo l’Istat è risalito al 9,4% (+0,2 punti su settembre) soprattutto grazie al calo degli inattivi che avevano registrato un boom durante la fase più acuta della pandemia quando il lavoro, semplicemente, non esisteva. Questo non significa che oggi esistono lavoratori che hanno iniziato, o ricominciato, a lavorare con un contratto, i contributi, un salario, qualche garanzia, sia pure precaria. Significa che avevano iniziato a cercare un lavoro nei giorni della rilevazione statistica, non che l’hanno trovato. E sono contabilizzati tra i disoccupati.