Il Centro smistamento corrispondenza delle Poste Italiane di Napoli è il più grande del mezzogiorno, ci lavorano 700 persone su tre turni, il lavoro è parzialmente meccanizzato: si tratta di sollevare casse pesanti di corrispondenza che va lavorata soprattutto a mano.

Proprio come gli operai in fabbrica, nel capannone di via Galilea Ferraris in molti soffrono di patologie alla schiena e agli arti. I motori delle attrezzature sviluppano un rumore costante ai limiti dei decibel consentiti, così dopo 7 ore e mezza di lavoro ti senti la testa che si spacca. Naturalmente non c’è solo il rumore ma anche la cattiva illuminazione, la polvere generata dalla carta, i bagni in condizioni igieniche precarie e il calore dei motori.

Calore che lo scorso giugno è diventato insopportabile quando si sono rotti i condizionatori. «Più volte ho chiesto ai dirigenti che si ponesse rimedio al problema. Come succede ogni volta, mi hanno risposto ‘abbiamo fatto la segnalazione, adesso lavorate’» così Antonio D’Alessandro è tornato a lavorare ma il 10 giugno si è sentito male, i sanitari del 118 lo hanno portato all’ospedale Loreto mare dove gli hanno refertato astenia dovuta alla forte sudorazione e tachicardia. Tre giorni a casa e poi di nuovo a lavoro, senza condizionatori. «Il 17 mi sono sentito male di nuovo, sono andato in bagno come consigliato dai medici per bagnare polsi e nuca e poi sono uscito a respirare».

Dopo un mese arriva la lettera di contestazione da parte di Poste italiane e il primo agosto il provvedimento disciplinare: dieci giorni di sospensione senza stipendio.

«Le condizioni di lavoro al Centro di smistamento stanno diventando impossibili – racconta D’Alessandro – nell’ultimo mese ci sono stati tre infortuni. Due settimane fa una mia collega si è sentita male: il caporeparto l’ha vessata per otto giorni di fila facendole pressioni continue, all’ennesimO episodio ha avuto una crisi, abbiamo dovuto chiamare il 118 che le ha riscontrato uno stato d’ansia. Qualsiasi cosa segnaliamo la risposta è ‘lavorate’. Il mio caso è emblematico del clima di intimidazione che si è instaurato nel silenzio dei sindacati».

Cosa contesta l’azienda a D’Alessandro? Il 17 giugno tra le 21.20 e le 22.45 i responsabili del Cmp, della produzione e delle risorse umane hanno fatto un controllo e segnato Antonio assente dall’intera struttura nonostante avesse regolarmente timbrato l’uscita alle 22.15. «Ha generato un processo operativo difforme dalle leggi e dalle regole aziendali, pregiudicando oltre la regolarità del servizio anche l’immagine della Società Poste Italiane» scrivono. «Non ero andato via, ero semplicemente in bagno per ‘attività di tutela della mia salute’. Finito il mio turno, ho timbrato. Il provvedimento che mi hanno comminato è appena un gradino sotto il licenziamento e si traduce in un taglio del mio stipendio di circa 1.200 euro. Ho fatto opposizione, l’azienda sa che non ha prove per sostenere una causa ma il messaggio che dà ai mie colleghi è non vi lamentate perché intanto vi colpiamo e pagare gli avvocati per noi non è un problema».

Il caso è approdato al Senato, con una interrogazione presentata dagli esponenti di Sel Giuseppe De Cristofaro e Giovanni Barozzino, e poi a Bruxelles a settembre attraverso l’eurodeputata Eleonora Forenza.

D’Alessandro ha impugnato il provvedimento al Tribunale del lavoro.