Da un lato ci sono le aziende che pretendono di far lavorare dal lunedì alla domenica, sette giorni su sette, nei grandi magazzini, nei supermercati, nel commercio al minuto, lì dove c’è una merce da trasportare, da vendere o da comunicare. Dall’altro lato ci sono i lavoratori impegnati nello sforzo di garantire una performance pagata sempre peggio. L’alternativa è la cassa integrazione, per chi rientra in questo programma, oppure (e più in generale) una vita passata tra occupazioni precarie e inoccupazione dove il reddito è la variabile dipendente dalla capacità di auto-sfruttamento.

QUESTO È IL RITRATTO della forza lavoro in Italia che emerge dalle cronache appassionate, e mobili, da Nord a Sud, che Frida Nacinovich ha delineato nel libro Con parole loro. L’amore per il lavoro nella tempesta del postfordismo (Ediesse, pp.260, euro 15). È una mappa di racconti brevi, cronache puntuali, spesso in sintonia con le passioni profonde, le incertezze, l’angoscia, ma anche le lotte di resistenza nel complicato mondo delle vertenze, degli scontri e delle speranze di una moltitudine che difende il proprio lavoro. Nacinovich si muove da Napoli a Vicenza, dalle portinerie toscane al Monte dei Paschi di Siena, dall’Atac di Roma alla Perugina, dalla Tim alla Castelfrigo. Cinque anni di vertenze in Italia sono raccontate con dedizione.

È sempre sul pezzo, si dice in gergo giornalistico, l’autrice che tesse il filo del suo racconto tra le macerie prodotte da un sistema industriale basato su appalti e subappalti, esternalizzazioni selvagge, false cooperative intermediarie in un indotto che funziona just-in-time e al massimo ribasso. Questo è il barbarico postfordismo all’italiana, un sistema economico ormai strutturato che attraversa il pubblico e il privato, all’interno di una precisa divisione globale del lavoro che ha relegato il nostro paese nelle basse specializzazioni produttive di un capitalismo senza capitale. Qui le crisi industriali si moltiplicano e il sistema degli ammortizzatori sociali, tra l’altro ridimensionato dal Jobs Act di Renzi e del Pd, tutela solo in parte centinaia di migliaia di lavoratori presi in ostaggio da una crisi infinita. Gli altri, fuori dal contratto e dalle relazioni industriali novecentesche, sono soli. E invisibili. Nota è la condizione, pochi sono ancora i rimedi. Almeno quelli a disposizione della cultura lavorista del lavoro.

NACINOVICH è fiduciosa che «la lotta dei lavoratori e delle loro organizzazioni non si arresterà». C’è da augurarselo, a partire dalla scelta di un terreno dove passare all’offensiva, e non solo per arginare l’attacco. Si potrebbe allora partire da se stessi, come sostengono il pensiero e i movimenti femministi. È interessante che la riscoperta di questo Sé passi attraverso un «amore per il lavoro», come si legge già nel sottotitolo del libro.
Amore per il lavoro inteso come dignità della persona, realizzazione dell’umanità, per l’opera ben fatta. Tuttavia il lavoro, nel capitalismo, è merce, sfruttamento e violenza. Amare questo lavoro è il sintomo della contraddizione della soggettività contemporanea che ama ciò che la sfrutta, perché senza questo sfruttamento non può realizzarsi come persona alienata. Si potrebbe dare l’amore per un altro lavoro, liberato dai micidiali paradossi del lavoro-merce, l’opposto del lavoro salariato, precario e alienato. Come, con chi e quando è il problema politico, oggi.