L’appuntamento, di buon’ora, era sulla via del mare; poi toccava alla sorte decidere per ciascuno l’ordine d’arrivo sulla spiaggia. Dove, giungendo alla spicciolata uno o due alla volta, già alle otto e mezzo potevano calarsi a mollo. Agli ultimi, reduci talvolta di due-tre ore d’attesa, spettava il bagno di mezzogiorno. La variabile era la strada, il tempo che se ne andava prima di farsi raccogliere dall’asfalto della strada. All’esame dell’autostop, ogni mattina, si presentavano con spirito sportivo, proprio dell’età di scuola. Ragazzi delle superiori che si sfidavano a raggiungere il mare in autostop.

Chi vi giungeva per primo era il più in gamba. Giorno dopo giorno si accumulava mestiere di autostoppista e allora, snobbando le utilitarie che ansimavano sui dieci chilometri che separavano la città dal mare, alzavano il pollice solo al passaggio dell’auto veloce. Si provava eccitazione a essere scorrazzati sul rettifilo dalla Fulvietta della Lancia o dal Gt Junior dell’Alfa.
Andandoci quotidianamente, con la bonaccia o col vento di tramontana, l’estate al mare passava a costo zero. Per bisogno e per scelta. Le poche lire riservate al pullman del mare le spendevano al chiosco per il ghiacciolo all’amarena o al giornalaio per il Corriere dello Sport con le ultimissime del mercato dei giocatori e le cronache del Giro di Francia. Le vacanze, consumate a dieci minuti dalla città, erano incipienti: cominciavano a giugno e finivano a luglio.

Poi, malvolentieri, ricacciavano i libri per il recupero di quel paio di materie cui si era puntualmente rimandati a settembre. Si studiacchiava, con nella testa ancora le note musicali gettonate in spiaggia, ben sapendo che i genitori facevano sacrifici per il compenso all’insegnante di ripetizione. Il rientro in città, da autostoppista, era meno velleitario. Facendo tardi, mancava il tempo di lasciar asciugare il costume e ancora attorcigliati nell’asciugamani si tentava il passaggio di fortuna. Un’impresa, far fermare qualcuno!

Chi faceva salire in macchina, dove magari si teneva in bella mostra il piumino sulla cappelliera, ragazzi che sprizzavano rena incastonata fra i piedi? Rimediavano il ritorno impietosendo l’autista del camioncino di gazzose e chinotti; se accostava una Vespa, montavano anche in tre sul sellino. Mai a scoraggiarsi. Il mattino nasceva con l’ultimo sogno, seducente e sempre lo stesso: farsi caricare, al primo autostop, da una fiammante Giulietta spider.