«Chiederemo uno sforzo maggiore a tutti. In primo luogo alla società spagnola, ai cittadini, ma anche all’amministrazione pubblica. Uno sforzo nazionale». Maggio 2010, Cortes di Madrid: l’annuncio della resa di Zapatero. La socialdemocrazia dell’Europa meridionale rinuncia a un punto di vista alternativo a quello di Merkel sulla crisi economico-finanziaria: l’austerità può dilagare, ammantata di retorica dei «sacrifici necessari». La tedesca Spd di cento anni fa votò i crediti di guerra al governo di Guglielmo II, il tradimento di inizio del nuovo secolo è questo: il Psoe rinuncia alla difesa dei ceti popolari e svuota di senso il suo chiamarsi «socialista» e «operaio».

L’attuale grande coalizione che regge l’Europa è conseguenza di questa bancarotta della sinistra moderata, in particolare quella dei Paesi «deboli»: invece di costruire un’alleanza della «periferia», si accredita come esecutore efficiente delle misure dettate da Berlino e Francoforte. Il suo ingannevole appello patriottico allo «sforzo nazionale», però, non è raccolto da tutti: prende forma un’insubordinazione di massa che in Grecia e Spagna assume le sembianze di Syriza e Podemos.

Dopo essersi cimentati con le vicende elleniche (Tsipras chi?, Alegre), Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena continuano il racconto di questa ribellione nonviolenta nell’agile ma denso Podemos. La sinistra spagnola oltre la sinistra (Alegre, pp. 127, 12 euro, prefazione di Moni Ovadia). Una documentata e convincente ricostruzione della brevissima storia della forza politica attualmente in testa ai sondaggi in Spagna. Storia che comincia nel movimento degli indignados, esploso il 15 maggio 2011, che diede voce a un’interpretazione della crisi diversa da quella mainstream: «colpevole» non è il debito pubblico (era al 36% in rapporto al pil nel 2006), ma un modello di sviluppo fondato su indebitamento privato e speculazione edilizia («nel 2006 in Spagna si erano costruite più case che in Francia, Italia e Germania messe insieme», si ricorda opportunamente).

Quel punto di vista critico, e l’energia di mobilitazione che ne è derivata, non si è mai auto-rappresentata come «sinistra»: qui sta uno dei punti di maggiore interesse – e controversia – di quel movimento. E, oggi, di Podemos. La tesi degli autori è convincente: «il “né di destra né di sinistra” spesso utilizzato tra gli indignados non è figlio di un pensiero post ideologico né un rifiuto a posizionarsi con gli sfruttati e coi senza diritti», ma è la scelta di non attaccarsi a parole-feticcio quando esse, in certi contesti, servono più a confondere che a spiegare. Pucciarelli e Russo Spena colgono altrettanto bene come l’identificazione delle radici di Podemos nelle piazze occupate non significhi che il neonato partito sia «l’auto-rappresentazione diretta» di quel movimento. Fondamentale è stata la mediazione, con evidenti tracce di avanguardismo di stampo leninista, di un gruppo di intellettuali-militanti capace di forzature verticistiche: Podemos è «un prodotto ragionato, razionale», concepito a tavolino «analizzando il contesto».

Non sarebbe accaduto nulla, però, senza la successiva capacità di coinvolgimento delle persone «non militanti», dell’universo precario non più solo giovanile, e senza la leadership del 36enne Pablo Iglesias, professore e animale televisivo – a dispetto di chi la dà per morta: la tv conta ancora molto – con solida cultura neocomunista e «doti da incantatore di serpenti». Tutto messo al servizio di un progetto politico che non propone di unire la sinistra («non me ne importa nulla», Iglesias dixit), ma di «creare un nuovo processo che vuole incarnare un cambiamento di sistema». Podemos è un’operazione che fonda il proprio successo su un «misto di “tecnopolitica” e radicalismo, rinnovamento e rottura generazionale, ambizione e in certi casi presunzione», compendiano con efficacia gli autori. Che illustrano con precisione le differenze fra gli spagnoli e i 5Stelle, ben più numerose delle superficiali analogie da politica web: in Podemos non c’è rifiuto dell’ideologia (anzi), e la critica populista (nel senso di Ernesto Laclau, a cui sono dedicate le pagine «teoriche» del libro) non riguarda solo «la casta dei politici», ma l’insieme dei poteri, compresi quelli economico-finanziari. Senza dimenticare che Podemos è un partito, e come tale vuole essere percepito.

Con intelligenza, Pucciarelli e Russo Spena non cadono nella tentazione di dire in modo semplicistico: «facciamo come in Spagna». E tuttavia, leggere il loro testo può aiutare la sinistra italiana a superare l’attuale irrilevanza, perché serve a smettere di credere a «ricette magiche e testi sacri», antichi o di nuovo conio, e a diventare finalmente curiosi di ciò che non si è e non si conosce.