In questi giorni l’abbiamo vista spesso nelle sale del Lido, si dice che insieme a Joshua Oppenheimer sia stata lei a convincere la giuria di Venezia 73 a premiare col Leone d’oro La donna che partì di Lav Diaz. Per due sole date è arrivato in sala il suo film, in concorso a Venezia 72, il magnifico Heart of a Dog (a cura di Nexo Digital, speriamo che ci siano altre date) dedicato a Lou Reed, il compagno di una vita, che appare in alcuni momenti, e alla fine insieme a Lolabelle, la cagnolina di Laurie Anderson in un tenero abbraccio, mentre la sua voce risuona con le note di Turning Time Around.

La colonna sonora – bellissima – che accompagna le immagini è stata in questi giorni pubblicata anche in Italia su etichetta Nonesuch solo in versione digitale. Lo stile è quello inimitabile di Laurie, narrativo e riflessivo al contempo, che ha scelto per l’occasione brani estratti da suoi precedenti lavori; dal più recente Homeland (2010) passando per Life on a string (2001) e Bright Red (1994). Ma non solo, l’album contiene anche musiche inedite tratte dal prossimo lavoro con i Kronos Quartet intitolato Landfall. Turning time around – che conclude la raccolta – è stato scritto dallo stesso Lou Reed.

L’avevamo incontrata dopo la proiezione lo scorso anno, i capelli corti e l’aspetto di un folletto, elegantissima. «Lou è nel film in molti modi, appare anche nel ruolo del veterinario della clinica per animali in cui avevamo portato Lolabelle quando stava molto male. Il suo spirito permea ogni immagine. Ci sono state lunghe discussioni tra noi nel corso degli anni sul concetto di forza, e su come questo si possa esprimere. Lou mi ha insegnato molte cose preziose su questo, e con Heart of a Dog spero di essere riuscita a mostrarlo».

Cosa l’ha spinta a realizzare un film?

La proposta mi è arrivata dal canale franco-tedesco Arte. Pensavano a un film-saggio personale, così ho cominciato a mescolare molte delle cose che ho sempre fatto: disegni, fotografie, narrazioni. Le immagini permettono di entrare in un altro mondo, di seguire diverse ispirazioni, di avventurarti nell memoria, nel sogno. Il film non è su di me anche se utilizzo alcune mie esperienze per spiegare in che modo le storie possono essere raccontate.

A un certo punto parla di sua madre, di quanto è stato difficile per lei che non l’amava esserle vicino mentre stava morendo. E del suo desiderio di ricordare un istante di amore da parte da sua. È molto personale.

Mia madre era una persona formale e orgogliosa, ha aspettato che tutti noi figli fossimo intorno al suo letto per farci un discorso. Ha preso in mano il microfono per dire:«Grazie per essere qui questa sera» ma poi, nel suo stato di allucinazione, ha cominciato a parlare degli animali che popolavano il soffitto. Di fronte a questa scena incredibile ho cominciato a riflettere sulla forza del linguaggio, è un qualcosa che mi ha fatto molto impressione proprio perché veniva dalla persona che mi aveva iniziato alla parola. Ci sono molti giochi di specchi nel film. Ma volevo incoraggiare lo spettatore a guardarlo attraverso gli occhi del narratore che a volte sono quello del cane. Non c’è un eroe, si deve usare l’immaginazione per ricreare i personaggi, un po’ come quando si ascolta un radiodramma.

La dimensione personale ci porta anche tra i fantasmi della nostra società. Nel film ci sono molte immagini delle telecamere di controllo.

L’ossessione della sicurezza è costruita sulla forma. Per rappresentare un concetto è più efficace un’ immagine che molte parole. Ho voluto mostrare alcuni aspetti di sicurezza interna agli Stati uniti perché il cielo nel mio film ha un doppio valore: è simbolo di libertà e anche di paura, sono immagini che si incrociano e si contagiano le une con le altre.