Firenze accoglie Margarethe von Trotta, sua cittadina già da anni insignita del Fiorino d’Oro della città, al Cinema La Compagnia con l’ultima creazione: Alla ricerca di Ingmar Bergman, un film sul regista svedese che nessuno poteva fare meglio visto che la vocazione alla regia era nata per lei proprio vedendo i film di Bergman alla Cinémathèque Française nei lontani anni ’50. E’ accaduto che in seguito qualche critico abbia trovato nei film di von Trotta delle somiglianze con quelli del maestro svedese, confermando certe affinità che sono sorte spontaneamente come da una filiazione naturale nelle idee, nella direzione degli attori, nella scelta dei temi, dei conflitti via via messi in luce. Un’ulteriore conferma di questa affinità venne da parte dello stesso Bergman, quando mise in testa a una lista dei suoi film preferiti Anni di piombo (1981) di Margarethe von Trotta assieme a capolavori come Andrej Rublev (1969) di Andrej Tarkowskij, La strada (1954) di Federico Fellini, Sunset boulevard (1950) di Billy Wilder e Il carretto fantasma (1921) di Victor Sijostrom. L’inconsueta predilezione di Bergman per le donne, che ha scelto sempre nel tempo sia come amanti che come interpreti straordinarie dei suoi film, valorizzando le loro qualità e incentrando spesso su di loro le sue storie, ha contribuito alla grandezza del cinema di Bergman, leader tra gli autori europei cui si è ispirata anche la Nouvelle Vague francese fin dagli esordi, come dice Olivier Assayas intervistato nel film. Il film mette in evidenza questa “scoperta” e questa cura dei personaggi femminili, donne emancipate, passionali e al tempo stesso innocenti, che hanno fatto il successo del cinema bergmaniano dagli anni ’50 in poi. Molte sono state le donne con le quali il regista ha convissuto e quelle con le quali ha avuto dei figli, tanto che in occasione del suo sessantesimo compleanno l’ultima moglie Ingrid gli propose di invitare tutti i 16 figli, molti dei quali non si conoscevano, per partecipare alla festa. Nel film appaiono le foto gioiose di questa ricorrenza, con le ragazze dal capo cinto di fiori, come nella miglior tradizione svedese. Immagini in forte contrasto con ciò che dice il figlio Daniel Bergman a proposito della freddezza del padre, tutto preso dal suo lavoro, per il quale la vera famiglia era il set cinematografico. In ogni caso questa vita sentimentale agitata, incostante e infantile ha prodotto le più varie e profonde indagini sulla conflittualità di coppia – come nelle puntate di Scene da un matrimonio (1973) – ed ha creato dei personaggi femminili indimenticabili come in Persona (1966), Il posto delle fragole (1957), Sussurri e grida (1972).

Nel corso del film, realizzato assieme al figlio Felix Moeller,Margarethe von Trotta intervista Liv Ullman, Gaby Dohm e Rita Russek, le attrici ancora viventi che hanno lavorato con Bergman, assieme alla montatrice che lo ha seguito in 40 anni di lavoro, e ne ricordano le caratteristiche di persona semplice, ma anche un po’ infantile e capricciosa. Sono un po’ come le “memorie” (sempre femminili) che rievocano la vita degli esseri umani non tanto nel loro aspetto esteriore quanto nella realtà umana e creativa, con le sue debolezze e la sua grandezza. Bergman appare in questi racconti con molti dei suoi aspetti infantili, delle sue nevrosi che non voleva curare perché gli avrebbero fatto perdere la sua creatività, che era in fondo quella di un bambino che gioca con le marionette del suo “teatrino”, come appare nel suo ultimo grande film che ha per protagonisti appunto due bambini: Fanny e Alexander (1982). E’ un film in cui riappaiono tutti i grandi temi del regista – la religione, la durezza dell’educazione, la paura, la temerarietà nell’osare di essere se stessi, la violazione delle regole – come superati però nella luce di un’infanzia eletta, a dispetto di tutti, a dimensione autentica e vincente del vivere.