Benyamin Netanyahu ripete di aver preso la decisione di assassinare Bahaa Abu Al Atta assieme ai vertici delle forze armate e dei servizi segreti e con l’approvazione del gabinetto di sicurezza. Assicura di aver pensato solo «al bene di Israele» e di non aver valutato in alcun modo le ripercussioni politiche, a suo vantaggio, dell’eliminazione del comandante militare del Jihad islami. Pochi credono al leader del Likud e premier uscente, a cominciare dagli editorialisti del quotidiano Haaretz, uno dei quali Chemi Shalev lo accusa di aver pensato prima di ogni altra cosa alla sua situazione politica e giudiziaria. Comunque siano andate le cose, Netanyahu la battaglia sulla scena politica israeliana può dire di averla vinta nettamente. Negli stessi momenti in cui Abu Al Atta veniva assassinato assieme alla moglie e il Jihad islami, per reazione, ha cominciato a sparare razzi verso Israele, si è ricompattato in nome della sicurezza di Israele l’intero schieramento dei partiti sionisti, destra e centrosinistra, alla Knesset. Ed è finita in mille pezzi l’ipotesi che il premier incaricato Benny Gantz, leader del partito centrista Blu-Bianco, stava considerando di formare un governo di minoranza senza il Likud e Netanyahu, con l’appoggio esterno dei 13 deputati della Lista araba unita (Lau).

 

Quando Ayman Odeh, il capo della Lau, ha condannato la ripresa della politica degli “assassinii mirati” di palestinesi e denunciato gli interessi personali di Netanyahu dietro l’accaduto, quelli di Blu-Bianco, con Gantz in testa, si sono subito schierati con il premier del Likud, il loro principale avversario politico. E sono cominciato gli appelli per un governo di unità nazionale in grado di condurre l’eventuale ennesima offensiva contro Gaza. Un vero successo per Netanyahu che così ha messo nell’angolo Gantz. Il leader di Blu-Bianco è consapevole di essere stato incastrato ma non può denunciarlo perché andrebbe contro lo stato di emergenza nazionale seguito all’omicidio di Abu al Atta.

 

«È difficile credere che Netanyahu non avesse pensato ai risvolti politici di questa vicenda» ci dice l’analista Michael Warshansky «(il premier) ha dimostrato ancora una volta un eccezionale fiuto politico. In questo modo si sta garantendo un posto nel futuro esecutivo e uno scudo protettivo dalla probabile incriminazione per corruzione che lo attende nei prossimi mesi».

 

A Gantz resta solo una settimana per portare a termine con successo l’incarico e sciogliere la riserva. Saltata l’opzione del governo di minoranza, è probabile che Avigdor Lieberman – ago della bilancia della scena politica con gli otto seggi del partito russofono Yisrael Beitenu – proverà a convincere Gantz a seguire la proposta del presidente Reuven Rivlin: includere Netanyahu nel governo in cambio dell’assicurazione che il premier uscente andrà in «riposo sabbatico» in caso di incriminazione. Pur di evitare le terze elezioni politiche in un anno, Gantz non può che chinare il capo e ingoiare il boccone amaro: ha fatto di tutto per mettere fuori gioco Netanyahu e invece se lo ritroverà accanto e con il petto gonfio per l’eliminazione di Abu al Atta.