Con la pubblicazione del secondo volume può dirsi terminato l’atlante fotografico sull’architettura dell’Italia settentrionale di Martin e Werner Feinersinger. Con il titolo Italo Modern, 1946-1976 (Park Books) l’impresa messa in campo dai due fratelli svizzeri – l’uno fotografo, l’altro architetto – adesso che possiamo esaminarla interamente, può ben essere considerata qualcosa di più di una guida: una preziosa raccolta fotografica che «se vista con curiosità, pazienza e occhi aperti – come ci invita a fare il critico austriaco Otto Kapfinger – apre per tutti noi un infinito labirinto di questioni estetiche». Innanzitutto quella riguardante il grado di sperimentazione linguistica che ha interessato un numero considerevole di architetti italiani del secondo dopoguerra, alcuni dei quali dimenticati, ma che meriterebbero studi appropriati non solo per toglierli dall’oblio nel quale li ha cacciati il conformismo accademico, ma in molti casi per salvare le loro architetture bisognose di restauro.
Da allora la loro ricerca si trasformò nel continuo ritrovamento di un numero consistente di architetture originali e sorprendenti per l’audacia del linguaggio poco incline all’osservanza della Gute Form d’oltralpe, così come agli schemi dell’International Style. L’elenco di questi «spiriti creativi non convenzionali» comprende personalità note come Bbpr, Caccia Dominioni, Magistretti, Ponti, Gardella, Albini, Figini e Pollini, Gellner, Scarpa ecc., ma anche altri meno famosi come Walter Barbero, Giuseppe Gambirasio e Giorgio Zenoni (la Galleria Ceribelli di Bergamo gli ha dedicato di recente una bella mostra), Enzo Venturelli, Livio Norzi, Nicola e Leonardo Mosso, Gino Becker, Mario Galvagni, Armando Ronca o Enrico Villani, solo per citarne alcuni. Ci si domanda: qual è il criterio di scelta che ha guidato i Feinersinger nel loro racconto per immagini? La risposta è che non ve n’è alcuno riconducibile alla storiografia, ma come precisa ancora Kapfinger, solo la «forza vitale» del «dilettantismo» che riprendendo quanto asseriva Egon Friedell, è il solo stato dell’essere che permette un’empatia speciale con l’oggetto.