Il volume Morire per un iPhone. La Apple, la Foxconn e la lotta degli operai cinesi di Pun Ngai, Jenny Chan e Mark Selden (Jaca Book, pp. 269, euro 15) svela il lato oscuro della produzione elettronica, portando alla luce il caso esemplare della condizione di operaie e operai cinesi che lavorano per un marchio committente, la Apple, e per il suo gruppo appaltatore, la Foxconn. Si tratta del caso più eclatante di un regime di fabbrica-dormitorio ormai destinato a lasciare tracce profonde nella società cinese e nel resto del mondo, indipendentemente dalle annunciate robotizzazioni.

Sotto la spinta della febbrile domanda mondiale di nuovi prodotti informatici il regime di fabbrica della Foxconn vincola la vita, i ritmi, gli orari di lavoro di più di un milione di lavoratori in Cina. Come nel caso del legame tra la Foxconn e la Apple, altre multinazionali elettroniche hanno imposto globalmente processi di produzione a ritmi disumani. Tuttavia il caso del rapporto tra Apple e Foxconn risalta tra gli altri per le dimensioni della forza-lavoro coinvolta e per l’intensità della sua erogazione.

La catena mortale

Alle lavoratrici e ai lavoratori toccano lunghi orari di lavoro, stringenti cadenze produttive, una sistemazione sorvegliata in dormitori aziendali e salari che permettono appena la sopravvivenza del singolo lavoratore ma non del suo nucleo famigliare. Ne sono risultate condizioni di vita ai limiti della sopportazione che hanno provocato una catena di suicidi attorno al 2010, (…), la più impressionante catena di autoannientamento in fabbriche non concentrazionarie della storia del capitalismo. La Foxconn ha reagito economicamente ponendo le inferriate alle finestre dei suoi edifici per impedire i salti nel vuoto delle sue disperate maestranze, il perverso rimedio tipico delle istituzioni totali moderne.

L’attenzione alla condizione operaia è il filo conduttore che guida gli autori per l’intero volume, compresi il secondo e terzo capitolo che sono sì dedicati al peculiare rapporto che la multinazionale Apple intrattiene con la multinazionale Foxconn, ma che intendono anche gettare le basi per rischiarare il lavoro vivo nel nesso che lega le due imprese. Né l’una né l’altra sono state pioniere nell’instaurare un rapporto di appalto. Altre imprese le avevano precedute. A cominciare dai primi anni Novanta, la produzione elettronica nordamericana ed europea è venuta affermandosi come il settore a più alta esternalizzazione, insieme con il tessile e l’abbigliamento.

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La peculiarità dell’esternalizzazione di hardware elettronico è duplice: da un lato, il suo centro di gravità si trova nell’Asia orientale e in particolare nelle grandi periferie industriali della costa meridionale della Cina; dall’altro, in Cina il bacino di reclutamento consiste in coorti di adolescenti e di giovani approdati dalle campagne alle catene di produzione come migranti interni e quindi come cittadini di seconda classe, essendo privi dei diritti alla residenza urbana e all’accesso ai beni e ai servizi pubblici legati alla residenza. Negata per via salariale alle operaie e agli operai migranti la possibilità di costruirsi un nucleo famigliare, la trasmissione della vita è o ritardata o addossata ai parenti che sono rimasti nelle campagne o del tutto vanificata in amare rinunce. Una così ampia riduzione dello spazio di riproduzione è un fenomeno quale non si verificava dalla seconda guerra mondiale.

L’estrema parsimonia necessariamente applicata da operaie e operai alla propria vita quotidiana alla Foxconn si manifesta innanzitutto nella scelta obbligata del 60 per cento circa delle maestranze di risiedere nei dormitori dell’impresa, dove un posto letto in un camerone con più letti a castello incide per un ventesimo del salario mensile, contro circa un terzo per l’affitto di una stanza all’esterno della fabbrica. L’invio alla famiglia rimasta in campagna dei risparmi racimolati con i salari spesso ottempera all’obbligo morale della devozione filiale, anche se i legami famigliari vanno indebolendosi nel corso degli anni. Lo scarsissimo tempo libero a disposizione è un fattore disciplinante di prima grandezza che non viene pubblicamente discusso se non da coraggiose minoranze politiche. Tuttavia sarebbe vano in Oriente come in Occidente chiedere a gran parte dei mezzi di comunicazione di mettere in rapporto le condizioni e l’orario lavoro con la mancata apertura di un’arena di pubblico dibattito, quello che viene comunemente chiamato lo spazio della democrazia.

La difficile ricomposizione

Nell’ostentato assenteismo del sindacato ufficiale, l’autorganizzazione operaia all’interno della Foxconn trova le sue limitazioni in tre principali vincoli imposti alle maestranze: la dura disciplina esercitata dalla Foxconn, i tempi e i modi spasmodici di produzione dettati dai capitolati di appalto della Apple e l’intesa cordiale fra entrambe queste imprese e le amministrazioni locali. Si tratta della triplice cappa che condiziona e incombe sui processi di ricomposizione solidale della forza-lavoro. Il legame tra la Apple e la Foxconn è forse il caso più evidente degli incerti equilibri produttivi odierni, dopo che i grandi marchi occidentali hanno deciso di abbattere i loro costi e aumentare l’efficienza esternalizzando la fabbricazione prevalentemente in Asia. Questo modello di esternalizzazione è dotato di una sua caratteristica capacità d’irraggiamento globale. La Foxconn ha promosso il modello come assetto esemplare nelle sue fabbriche in Europa e nell’America latina.
Nel gergo degli intermediari dell’esternalizzazione, la compressione dei prezzi da pagare ai fornitori è chiamata arbitraging, un significativo slittamento linguistico rispetto all’arbitraggio sui titoli di borsa. Il carattere iugulatorio di questo labour arbitraging viene venduto come manifestazione del libero mercato. Le sue conseguenze vengono scaricate in larga parte sulle condizioni di vita e di lavoro delle maestranze, in particolare in Asia. Essenziale è nel caso della manifattura elettronica la disponibilità della forza-lavoro a un logorante sistema di fabbrica. Viene dunque selezionata una forza-lavoro giovane, istruita, abbondante, disciplinabile entro rigide istituzioni, mobilitabile e smobilitabile entro tempi brevi.

Nell’elettronica come in altri settori, i margini di salario e di profitto riservati alle imprese appaltatrici sono compressi dalla preponderanza economica del committente, generalmente un marchio globale che lucra le forti differenze tra il prezzo concesso all’impresa appaltatrice e il prezzo di vendita finale5. Così è stato anche finora nell’intreccio che la Apple ha mantenuto con la Foxconn.

Nell’Asia meridionale e orientale i sistemi delle aziende appaltatrici che forniscono i grandi marchi si reggono sul malfermo piedistallo di salari bassi o addirittura infimi, mentre i magri utili locali possono crescere in ragione dell’aumento della massa degli operai occupati e del prolungamento dei loro orari di lavoro. Per contro, i pingui profitti derivanti dal labour arbitraging vengono rastrellati dai grandi marchi che detengono e si spartiscono le quote delle vendite finali. Nel caso della Foxconn e della Apple in Cina, come gli autori di mostrano, i margini della Foxconn sono assai ristretti rispetto a quelli della Apple. Nel 2010 la Apple si appropriava di ben il 58,5% del prezzo finale di un iPhone, sebbene avesse completamente esternalizzato la manifattura del prodotto. Soltanto l’1,8 per cento, ossia 9,88 dollari, era destinato al salario delle maestranze in Cina. In breve, gli accordi ricorrenti su scala crescente tra la Apple e la Foxconn ricadono nella categoria del labour arbitraging. Va notato che i bassi salari, insieme con i lunghi orari di lavoro, sono un decisivo fattore di freno alla mobilitazione informale e formale dei salariati della Foxconn, un fattore che può essere neutralizzato dalle maestranze soltanto con la dedizione organizzativa di cui il movimento operaio in Cina ha dato ampie prove nel passato.

Reclutamenti temporanei

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Le amministrazioni locali non sono dovute intervenire se non episodicamente per troncare e sopire la mobilitazione a favore di migliori condizioni di vita e di lavoro. Molto più frequente e puntuale è risultato il loro ruolo nell’approntamento delle zone industriali e nell’opera di reclutamento e selezione del personale, procurando così alla Foxconn un sostanzioso risparmio delle spese d’insediamento. Altrettanto solerti durante i picchi della produzione sono risultate le cure prodigate dalle amministrazioni locali al reclutamento temporaneo di giovanissimi studenti degli istituti tecnici da avviare ai cosiddetti tirocini presso la Foxconn, a costo di compromettere l’apprendimento scolastico dei tirocinanti. Tagliando i costi in infrastrutture e in reclutamento delle imprese e piegando i centri urbani alle esigenze della fabbrica, le amministrazioni locali mettono al riparo il governo centrale e il partito comunista dall’eventuale esposizione al malcontento e ai conflitti. Le imprese possono attingere a sempre nuovi bacini di manodopera costituiti da migranti, non solo perché è conveniente ma anche perché la sostituibilità nel posto di lavoro genera paura nelle maestranze. Prende corpo un sistema d’impiego urbano duale e segregato: da un lato quanti sono dotati dei diritti di residenza e dei beni e servizi pubblici connessi, dall’altro i migranti, non solo precari ma anche esclusi da tali beni e servizi con l’artificio della residenza negata.