È un gioiello della biodiversità italiana, a metà tra terra e mare. Ospita nei suoi diversi habitat oltre 300 specie di uccelli, 40 di mammiferi e 25 tra anfibi e rettili. Riconosciuto dal 2015 come Area Man&Biosphere dell’Unesco, conta diverse zone umide di importanza internazionale istituite ai sensi della Convenzione di Ramsar ed è tutelato dall’Unione Europea attraverso siti della Rete Natura 2000. È il Delta del Po, un vero e proprio patrimonio comune che produce un valore medio annuo di 16 miliardi di euro in servizi ecosistemici, a conferma della sua primaria importanza ecologica, economica e sociale su scala locale e globale. Eppure, in piena violazione normativa, il delta del principale fiume italiano, invece di essere un parco nazionale, continua a rimanere parzialmente protetto attraverso due parchi regionali di Emilia Romagna e Veneto. Due parchi separati che finora non hanno garantito un’efficace tutela della biodiversità né hanno scoraggiato, anche per le scarse risorse economiche e lavorative assegnate, un gravissimo e diffuso bracconaggio venatorio e ittico che ne fanno uno dei black spot nazionali. Una divisione assurda: lo stesso bene, invece di essere gestito da un unico soggetto nazionale, è separato da un confine posto sull’acqua che determina competenze in capo ad enti diversi con mancanza di strategia e aumento delle spese. Recentemente si è registrata l’ennesima puntata di questa storia infinita.

La Regione Emilia Romagna ha presentato una bozza di Intesa per la gestione unitaria del Parco del Delta del Po. Una proposta surreale, prima ancora che per i contenuti, per il percorso istituzionale seguito, considerata la singolarità del fatto che una sola delle due regioni coinvolte avanzi una proposta senza averla condivisa. La bozza punta alla creazione di un parco interregionale che, in realtà, non potrà decidere nulla, essendo totalmente sotto il controllo dei sindaci della zona e che agirà sulla base di un piano di interventi che trascura del tutto la tutela della biodiversità, facendo un generico riferimento, non giuridicamente vincolante, alla dichiarazione di Area Mab Unesco (a dimostrazione che l’unica cosa che importa è fregiarsi del titolo Unesco senza fare nulla di concreto per la conservazione). In pratica si propone un nuovo poltronificio con una governance volutamente confusa che non promette nulla di buono e che rappresenta l’ennesima forzatura (dopo lo smembramento amministrativo del Parco nazionale dello Stelvio) della Legge quadro sulle aree naturali protette, con un evidente gioco al ribasso rispetto alla tutela di aree dal grandissimo valore ambientale. Il Delta del Po deve diventare invece un parco nazionale vero, capace di sviluppare un sistema partecipativo per creare nuove opportunità di sviluppo sostenibile e duraturo, nonché di benessere per le comunità locali