Da attore incallito, Paolo Villaggio aveva l’ossessione per le uscite di scena coi tempi giusti. E per l’ultima volta la sua vita e quella della sua maschera, Paolo Villaggio e Ugo Fantozzi, si mescolano: assieme ai due figli Piero ed Elisabetta e alla moglie Maura Abites, compare la figlia dello schermo, quella Mariangela interpretata dall’ormai settantenne Plinio Fernando. Con lui c’è Milena Vukotic, che per prima interpretò la moglie del ragionier Ugo, Pina. Dal mattino alla sala della Protomoteca del Campidoglio fino alla sera alla cerimonia di villa Borghese ci sono tantissimi colleghi attori, numerosi personaggi pubblici e soprattutto (come si dice in questi casi) gente comune. Anche se il figlio Piero ci tiene a precisare: «Mio padre non era una persona comune, nel bene e nel male».
Proprio l’anno scorso il secondogenito dell’attore aveva dato alle stampe Non mi sono fatto mancare niente, un memoir sulla sua giovinezza, racconto amaro della vita spericolata da tossicodipendente. Il libro rivela anche la difficoltà di essere il figlio di un’icona nazionale: «Ho avuto la fortuna di stare con lui negli ultimi anni, gli facevo da agente, accompagnatore, badante e figlio – dice adesso, a testimonianza di un rapporto ritrovato – Non è stato facile ma adesso pagherei per stare un altro giorno con lui». Sua sorella Elisabetta racconta: «Mi ha insegnato ad essere più forte. Ma non era una persona semplice».

La storia della paternità ritrovata solo a tarda età si intreccia con quella fantozziana di un attore raffinato ma vincolato alle sorti del paese che lo ha incoronato. Con Fantozzi aveva concepito un personaggio geniale, comico e dolente, la cui malinconia col passare degli anni (e col mutare del contesto, come ha scritto in questi giorni Wu Ming 1 ragionando attorno al celeberrimo apologo fantozziano della Corazzata Potemkin) è scivolata di significato, ha mutato di segno. Con gli anni ottanta Fantozzi si è trasformato in una specie di slapstick per bambini. E poi, ancora peggio, in una maschera buona per l’infanzia eterna e massificata di tutte le età che segue le commedie di Neri Parenti. Il regista dei cinepanettoni raccolse il testimone della saga di Fantozzi da Luciano Salce. Quando arriva in Campidoglio, non a caso, racconta della poca confidenza personale con Villaggio: «Abbiamo lavorato insieme per venti anni, girando diciotto film. Ma siamo andati a cena solo due volte». Anche Carlo Vanzina fa a suo modo un’ammissione: «Facemmo assieme Banzai: era una cagata pazzesca, lo facemmo per andare a mangiare sushi a Tokyo». Lino Banfi, col quale Villaggio duettò alla grande in Fracchia la belva umana, sottolinea lo spessore culturale del collega: «A differenza nostra, che eravamo più cialtroni, lui era più intellettuale; aveva più studi, più esperienza di politica».

A proposito di politica: c’è il ministro della cultura Dario Franceschini, che definisce l’attore genovese «un grande intellettuale». Si affaccia anche la sindaca Virginia Raggi. Non può mancare un altro comico genovese, Beppe Grillo. Che si trova in Campidoglio assieme a Davide Casaleggio, a motivare le truppe che amministrano Roma. Quando qualcuno gli chiede della simpatia di Villaggio per il Movimento 5 Stelle, Grillo descrive correttamente un uomo restio alle etichette di partito: «Non era proprio un 5 Stelle – dice – Paolo era una personalità libera, a volte faceva commenti positivi, a volte delle critiche». Di fronte alle speculazioni sulla possibile simpatia del ragionier Ugo Fantozzi per i grillini, il leader del M5S sottolinea la differenza tra l’attore e il personaggio: «Penso che Fantozzi abbia sempre votato Democrazia Cristiana». In serata la cerimonia laica alla Casa del Cinema. Al tramonto viene proiettato il primo Fantozzi. Qualche ora prima, qualcuno ha messo sulla bara di Paolo Villaggio un cartoncino a forma di nuvola con la scritta «lassù non pioverà più». Il nubifragio ad personam che perseguita ogni impiegato in libera uscita è soltanto una delle tante trovate che il volto di Ugo Fantozzi e Giandomenico Fracchia ha seminato nell’immaginario collettivo. Soltanto che oggi non piove. Anzi, fa molto caldo. Perché Villaggio ha scelto un giorno estivo e però di un anno dispari, dunque «senza campionati di calcio a distrarre la gente», come auspicava, aggiungendo che si dovesse «morire prima dei Tg delle 20». Il pensiero fisso indossato con la solita ironia, lo aveva condotto a comunicare ad amici e giornalisti la data del suo decesso (sarebbe dovuto avvenire qualche anno fa: non ci prese) e lo portava a scambiarsi elenchi di acciacchi cogli amici. Tra questi Renzo Arbore, che rende omaggio a «un rivoluzionario vero dell’umorismo, capace di ribaltare la comicità». Poi Paolo Villaggio esce di scena per davvero. Verrà portato nella sua Genova. Sarà sepolto a Sori, alle porte della città, di fronte al mare.