Ormai nemmeno litigano più, a dimostrazione che nel M5S la frattura è talmente grande che nessuno ha ancora voglia di provare a convincere – dialogando o con la minaccia di un’espulsione – chi non la pensa come lui. La prova è nelle parole con cui Gianroberto Casaleggio, ieri a Roma per incontrare il nuovo direttorio a Montecitorio, si sarebbe sfogato nel pomeriggio con Luigi Di Maio. «Facessero come gli pare, se se ne vogliono andare sono liberi di farlo», avrebbe detto il cofondatore del M5S riferendosi ai tanti parlamentari che sarebbero in procinto di lasciare il movimento. Circolano numeri che, se confermati, rappresenterebbero una vera emorragia: tra i 20 e i 27 deputati e almeno 20 senatori, roba da lasciare il gruppo M5S a palazzo Madama – dove oggi siedono in 40 – a dir poco sguarnito.
I conti veri si faranno nei prossimo giorni, probabilmente dopo l’Open day organizzata per domenica a Parma dal sindaco Federico Pizzarotti e che potrebbe segnare l’avvio della rifondazione grillina. Ma se è vero che a volte contano più le assenze delle presenze un’indicazione chiara è venuta proprio dall’assemblea di ieri pomeriggio. Su un totale di oltre 140 tra senatori e deputati, i presenti erano appena 80. Tutti gli altri hanno scelto di disertare la congiunta anche per contestare l’elezione del direttorio, piovuta anch’essa dall’alto come succede spesso. Al punto che non sono mancate le contestazioni verso Luigi Di Maio, Carla Ruocco, Carlo Sibilia, Roberto Fico e Alessandro Di Battista, i cinque prescelti da Grillo e Casaleggio per affiancarli nella guida del movimento.
«Qualcuno ha detto che se questo progetto fallisce, allora falliamo tutti. Io non mi prendo la responsabilità di qualcosa che non è stato condiviso», avrebbe detto la deputata Silvia Benedetti chiedendo di fissare una scadenza la mandato del direttorio: «Così valutiamo se siete un carrozzone».
Nell’assemblea non si è parlato di ulteriori espulsioni ma del nuovo corso che dovrà assumere il Movimento e che, tra l’altro, prevede una maggiore presenza anche in televisione.
La presenza a Roma di Casaleggio il giorno dell’attesa assemblea congiunta non è stato certo casuale. Il guru è arrivato per istruire Di Maio, Roberto Fico, Carla Ruocco, Carlo Sibilia e Alessandro Di Battista, il direttorio eletto insieme a Grillo, su quanto dovranno fare, assegnando a ciascuno di loro deleghe precise. Ma anche per compattare quel che rimane del M5S dopo le polemiche seguite all’espulsione di Massimo Artini e Paola Pinna. Compito difficile, perché ormai è chiaro a tutti che questa volta nessun richiamo all’ordine e nessuna promessa di cambiamento potrà far rientrare il dissenso che circola tra i parlamentari: «Il M5S è finito, che ci restiamo a fare qui?», commentava ieri pomeriggio un dissidente prima di lasciare l’assemblea. Chi è restato, come la deputata Giulia Sarti, ha chiesto invece al direttorio di partecipare domenica all’iniziativa di Pizzarotti. Ipotesi bocciata da Fico, che avrebbe giustificato la scelta con il timore di presunte strumentalizzazioni.
Proprio la scadenza di Parma, del resto, è il termometro perfetto per rappresentare il sisma per ora sotterraneo che sta scuotendo il M5S. Che nessuno dei vertici grillini partecipi infatti a un’iniziativa politica di quello che è pur sempre il più importante primo cittadino targato 5 stelle (e alla ha annunciato la sua presenza anche il sindaco di Livorno Nogarin), la dice lunga sul malessere presente nel movimento. Malessere sempre più evidente anche sul territorio dove oltre alle divisioni presenti ormai in tutti i MeetUp, non passa giorno senza che si registrino dimissioni di consiglieri pentastellati stufi della «deriva autoritaria» presa dal movimento. Un gruppo di questi, consiglieri presso comuni della provincia di Firenze, ieri ha lanciato un appello per la costituzione «di un nuovo soggetto politico che recuperi gli ideali e i principi di democrazia partecipata fondanti del M5S», hanno spiegato. Motivazioni che probabilmente porteranno domenica a Parma.