L’approvazione della legge sull’assegno unico e universale per i figli, avvenuta alla Camera e ora in discussione al Senato, rappresenta una novità significativa nel welfare italiano. Si tratta di un’erogazione mensile di denaro o di un credito d’imposta per ogni figlio a carico, a partire dal settimo mese di gravidanza e fino al ventunesimo anno di età.

Si tratta di un’erogazione mensile di denaro o di un credito d’imposta per ogni figlio a carico, a partire dal settimo mese di gravidanza e fino al ventunesimo anno di età.  Una quota base dell’assegno è uguale per tutti. Un’altra parte, variabile, tiene conto del reddito del nucleo familiare con una maggiorazione in base al numero dei figli o alla presenza di casi di disabilità. Al compimento dei diciotto anni è previsto che il beneficio vada direttamente al figlio per favorirne l’autonomia.

L’assegno è «universale» perché si rivolge a «tutti» i figli, indipendentemente dalle condizioni lavorative, professionali e di reddito delle famiglie. Non è mirato, dunque, al mero contrasto della povertà, ma a garantire lo sviluppo umano e culturale delle nuove generazioni. Sta in questo la portata innovativa del provvedimento.  L’idea di fondo è che i figli siano una ricchezza per il paese, non un costo che i genitori devono sopportare da soli. In questo senso, l’efficacia di questo assegno sarà giudicata anche dalla capacità di invertire la tendenza alla denatalità e, quindi, ridurre i forti squilibri demografici.

L’assegno è «unico» perché, per finanziarlo, si attinge a risorse derivanti dall’assorbimento degli attuali assegni, bonus vari e detrazioni per i figli a carico. L’obiettivo dell’accorpamento di questo insieme di assegni e contributi alle famiglie è quello di trovare le risorse necessarie, circa 25 miliardi, per coloro che già godono di prestazioni a sostegno della famiglia e, soprattutto, per allargare la platea dei beneficiari.

Se approvato dal Senato, per la mole di risorse che mette in campo, l’assegno unico diventerà oggettivamente una delle misure portanti della manovra di bilancio 2021 e darà un’accelerazione alla discussione sulla riforma fiscale. Siamo i primi in Europa per il livello di evasione fiscale, che si aggira intorno ai 110 mila euro all’anno. E gli evasori sguazzano nell’attuale giungla delle spese fiscali (tax expenditures), ossia l’insieme di assegni, agevolazioni, detrazioni e deduzioni. Ne sono stati accertati oltre 500 e valgono più di 60 miliardi. Il lavoro da fare è enorme e pieno di insidie. Durante la pandemia, poi, i bonus si sono moltiplicati.

Molte categorie e imprese, che temono di perdere i benefici, si metteranno di traverso. In Italia, persino le attività dannose per l’ambiente godono di agevolazioni per ben 10 miliardi. In questo contesto, in un paese di «poveri» per il fisco (solo il 2,5 per cento dei contribuenti dichiara redditi superiori a 75 mila euro), la partita della riforma si gioca certamente sulla capacità di sfoltire le tax expenditures e, contemporaneamente, rafforzare la redistribuzione e ridisegnare il welfare.

Il paradosso italiano è che, mentre gli evasori hanno accesso facile alle prestazioni in servizi e in denaro, coloro che le tasse le pagano fino all’ultimo centesimo, sono spesso penalizzati o esclusi in virtù della rigorosa correlazione tra prestazioni e reddito. Sta qui anche una delle ragioni del malessere e della rabbia del ceto medio impoverito e delle fasce sociali con reddito medio-basso, che hanno scelto di ripararsi sotto l’ombrello della destra sovranista. Bisogna rispondere al bisogno di protezione sociale spingendo il governo a dotarsi di strumenti adeguati, a partire da una banca dati sui beneficiari di servizi sociali e di sconti fiscali o di assegni di sostegno al reddito, stroncando in tempo reale abusi, truffe e illegalità.

Ma per raggiungere il traguardo della riforma fiscale non è sufficiente un maquillage alle aliquote per ridare equità al sistema. Infatti, mentre il prelievo sui redditi da lavoro è progressivo, i redditi da società di capitale e le rendite finanziarie e immobiliari sfuggono alla progressività dell’imposta personale, anzi godono di un trattamento fiscale di favore. Non è sufficiente un maquillage alle aliquote per ridare equità al sistema.

La tassazione è progressiva se a determinarla sono tutti i redditi (da lavoro, da capitale, da rendita). Ecco perché sono riduttive sia le proposte che puntano al riordino di sconti fiscali e bonus finalizzato a un alleggerimento generalizzato dell’imposta personale, sia le ricette che attribuiscono alla patrimoniale poteri salvifici. La caratteristica fondamentale di una vera riforma fiscale è data da un prelievo onnicomprensivo e progressivo su tutti i redditi. Per ridare trasparenza ed equità al sistema impositivo e per rassicurare i ceti sociali più colpiti dalla crisi, che guardano con ansia alle troppe incognite e incertezze riguardanti le condizioni di lavoro e di vita.