Per l’Italia la notizia è pessima. L’asse franco-tedesco presenterà lunedì alla riunione dell’eurogruppo la proposta di istituire un fondo di investimenti comune per la crescita. Al fondo, sin qui contrastato dalla Germania, potrebbero accedere solo i Paesi in linea con gli obblighi fiscali e il rispetto delle regole. L’Italia, al momento, potrebbe essere tagliata fuori e sarebbe un segnale pessimo. Non il solo che arrivi dalla Ue. Per ora si tratta solo di moniti ma traspare la possibilità che il fioretto lasci il posto alla scimitarra prima del previsto. Ieri il presidente della Bce Draghi si è rivolto direttamente all’Italia, pur senza nominarla: «I Paesi ad alto debito non devono aumentarlo ulteriormente. L’aumento dello spread è causato dalla messa in discussione di quelle regole».

La risposta italiana è immediata e persino Di Maio adopera toni ben diversi da quelli usuali per i due vicepremier. Tria assicura che l’aumento dello spread «sembra gestibile» e anche per il debito «il governo ritiene che il percorso tracciato sia sostenibile» e lo sarebbe anche qualora «la crescita fosse più bassa dei target governativi». Di Maio sottoscrive Draghi: «Sono d’accordo con lui, abbiamo le stesse preoccupazioni: bisogna diminuire il debito pubblico. Abbiamo lo stesso obiettivo ma ricette diverse».

Sembra una discussione quasi accademica, comunque composta. E’ una impressione falsa. A Bruxelles i falchi incalzano, vogliono bruciare i tempi. Il ministro delle Finanze austriaco Loeger, come sempre, è il più ruvido: «La risposta dell’Italia non è soddisfacente. La commissione deve reagire». La commissione, chiamata brutalmente in causa, si fa sentire attraverso Moscovici. Usa tutt’altri toni, promette di procedere «step by step, con calma e moderazione, non per punire, usando le sanzioni solo come extrema ratio». Apre uno spiraglio dicendosi pronto a concedere flessibilità sugli interventi per il maltempo. Però «la flessibilità è una cosa, il lassismo un’altra». Sta a dire che i saldi italiani sono inaccettabili: la commissione è pronta a concedere, ma solo se il governo italiano è disposto a cedere, in concreto a rivedere sia il deficit che le previsioni di crescita per evitare l’aumento del deficit strutturale. In caso contrario, la musica sarà ben diversa, molto più simile alle marce belliche che vuol suonare Loeger. Moscovici lo fa capire sia quando ricorda, che lui non è solo ma affiancato «dai 18 ministri dell’eurozona», sia quando sottolinea che «a un certo punto la questione andrà risolta».

Ai vertici della Ue, a Bruxelles e Francoforte si confrontano davvero due linee diverse, replicando l’eterna divisione tra falchi del rigore e colombe del dialogo e della flessibilità. Ma oltre un certo confine, quello dell’indisponibilità italiana a modificare i saldi, le distanze scompaiono e le colombe sfoderano gli artigli esattamente come i rapaci olandesi e austriaci.
I segnali da Bruxelles sono dunque univoci e indicano tutti una probabile accelerazione. Le voci fatte trapelare dalla commissione segnalano che al momento non è previsto nessun colloquio tra Conte e Juncker, fanno sapere che il parere della commissione sul bilancio italiano, di fatto il primo passo verso la procedura, non sarà probabilmente rinviato e arriverà il 21 novembre, accennano all’ipotesi di un’anticipazione del verdetto dell’eurogruppo, che potrebbe arrivare già il 3 dicembre. A quel punto la partita sarà ancora lunga. In primavera la commissione chiederà una manovra correttiva e solo di fronte al rifiuto italiano entrerebbero in ballo le sanzioni vere e proprie.

Solo che una volta preso l’abbrivio fermare i treni in corsa l’uno contro l’altro sarà quasi impossibile e questo spiega le crescenti preoccupazioni del Colle, rivelate in pieno dalla notizia uscita ieri su alcuni giornali secondo cui Mattarella starebbe valutando l’ipotesi di non firmare la legge di bilancio. E’ una voce infondata che tuttavia il Quirinale ha preferito non smentire ufficialmente: è segno che il presidente vuole comunque far sentire il peso della sua preoccupazione e inviare un segnale di allarme preciso. Non significa che Mattarella intenda davvero scatenare un conflitto istituzionale senza precedenti negando la firma alla legge di bilancio. Ma neppure intende osservare passivamente un percorso dagli esiti potenzialmente disastrosi.

Intanto la manovra, al netto delle voci rinviate, si va definendo.
La Lega ha sacrificato senza sforzo un condono fiscale svuotato dalla mancata depenalizzazione. Come sempre sul testo piovono emendamenti, alcuni dei quali sarebbero davvero fondamentali: come quello della vicepresidente della Camera Carfagna che chiede di istituire un fondo di 10 milioni per i bambini delle famiglie colpite da femminicidio e per le famiglie affidatarie.