L’altro ieri sera si è tenuto un incontro telefonico tra i paesi del «Formato Normandia» un gruppo di contatto formato dai leader di quattro paesi (Russia, Ucraina, Francia, Germania) al fine di realizzare gli obiettivi stabiliti dagli Accordi di Minsk per risolvere la guerra civile in corso dal 2014 nel Donbass.

Al termine della telefonata, mentre il Cremlino si limitava a segnalare che il prossimo incontro avverrà nella seconda metà di agosto, Macron e Merkel stilavano un comunicato congiunto in cui si chiedeva «che il cessate il fuoco deciso il 21 giugno (mai in realtà rispettato dalle parti, n.d.r.) venga immediatamente rispettato». I due leader hanno anche affermato che «gli Accordi di Minsk devono entrare vigore a tutti livelli» il più in fretta possibile ponendo per la prima volta un limite temporale: la fine del 2017.

Si tratta di tempistiche che a Mosca ritengono del tutto irrealistiche. Tuttavia nei corridoi del Cremlino, secondo Ria Novosti, si ritiene che le trattative debbano necessariamente fare dei passi in avanti, se si vuole disinnescare la bomba a orologeria della «Piccola Russia», il nuovo stato proclamato dalla «Repubblica di Donetsk» la scorsa settimana. Nella telefonata di ieri Putin ha per la prima volta affermato che «la Piccola Russia è una iniziativa di cui non era a conoscenza» e in cui «non si riconosce», prendendo così ufficialmente le distanze da Alexander Zacharchenko, il leader della autoproclamata «Repubblica Popolare di Lugansk».

Quest’ultimo, vero convitato di pietra del «Formato Normandia», ha ripetuto ieri in una dichiarazione la sua contrarietà a qualsiasi trattativa, affermando lapidariamente che ormai «il dado del nuovo Stato è tratto». Secondo Zacharchenko «Stato ucraino e Accordi di Minsk» sono falliti «definitivamente».

La rottura con l’alleato russo non poteva essere più netta, e almeno per il momento definitiva.

Il presidente ucraino Poroshenko da parte sua, in un breafing con la stampa, ha avanzato la richiesta che «l’Onu invii una forza di interposizione nella zona del conflitto». Una proposta propagandistica che intende mettere in difficoltà la Russia e costringerla a porre eventualmente il veto al Palazzo di Vetro.

Il silenzio francese e tedesco dimostra il loro livello di gradimento della proposta. I due leader europei temono che portando la crisi su un piano non più solo europeo ma mondiale, gli Usa possano rientrare a pieno titolo nella trattativa.

Da parte sua il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha affermato che «per gli statuti dell’Onu, il coinvolgimento di una forza di interposizione deve essere decisa dalle parti in conflitto, e quindi una tale proposta non riguarda la Russia».

Nelle ultime ore il Cremlino ha creato un asse con la Repubblica di Lugansk, che si è dichiarata indisponibile a seguire quella di Donetsk sulla strada dello Stato indipendente.

Secondo le indiscrezioni raccolte dal sempre ben informato Kommersant, Putin anche a nome di Lugansk, nel colloquio dell’altro ieri avrebbe chiesto che Kiev «garantisca prima di tutto uno status particolare per il Donbass, l’amnistia per i combattenti delle Repubbliche popolari ed elezioni in tempi certi». Kiev, che di amnistia per quelli che ancora definisce «terroristi» non vuol neppure sentir parlare, ha replicato che di autonomia ed elezioni si inizierà a parlare dopo la completa demilitarizzazione della zona.

Intanto nel Donbass si continua a combattere. La Donbass Press Agency segnala che «nelle ultime 24 ore sono avvenute 42 violazioni del cessate il fuoco». E dopo la morte, sabato scorso, di cinque soldati ucraini in uno scontro a fuoco, ieri è stata la volta di due combattenti della Repubblica di Lugansk a perdere la vita, «dilaniati da colpi di artiglieria» dell’esercito ucraino.