Testa mezza fasciata, faccia appesa, in apparenza dolorante per gli spintoni della polizia, ieri Itamar Ben Gvir è tornato con il look del «martire» al terreno di Sheikh Jarrah che aveva occupato domenica e ha preso posto alla scrivania suo «ufficio» sotto la tenda eretta a 5-6 metri dall’ingresso dell’abitazione della famiglia palestinese Salem. Può dirsi soddisfatto il deputato di Otzmah Yehudit, partito politico e punta estrema della destra religiosa israeliana. Ha ottenuto ciò che voleva. La polizia schiererà rinforzi a Sheikh Jarrah a «protezione», come invocava, dell’abitazione di coloni presa si mira qualche giorno fa da bottiglie incendiare lanciate da palestinesi. E, ancora più importante, lui a pochi metri dalla casa dei Salem ci resterà finché vorrà assieme alla schiera di giovani militanti di Otzmah Yehudit e di altri gruppi radicali come Lehava («Fiamma») che lo scortano tutto il tempo. Ben Gvir ha anche incassato le parole ambigue del premier Bennett che ieri, prima di decollare per il Bahrain, ha messo sul suo stesso piano il deputato comunista Ofer Cassif e ha condannato «l’incendio doloso delle case degli ebrei nella capitale israeliana». «Non abbiamo bisogno di Ofer Cassif o Ben Gvir per dirigere Gerusalemme e di provocatori che infiammano la zona solo per scopi politici». Cassif a differenza di Ben Gvir a Sheikh Jarrah non è andato a occupare terreni e a innescare violenze ma solo a denunciare le provocazioni della destra. Lo stesso ministro degli esteri Yair Lapid ha commentato in una riunione del suo partito, Yesh Atid, che «Ben-Gvir non è a Sheikh Jarrah per proteggere i residenti (i coloni, ndr), è lì per infiammare la zona».

 

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Domenica notte a Sheikh Jarrah sono esplosi nuovi scontri tra palestinesi e la polizia che hanno provocato almeno 31 feriti (quasi tutti tra i dimostranti), tra cui un medico e un giornalista. I reparti antisommossa hanno lanciato granate assordanti e sparato proiettili rivestiti di gomma per disperdere la folla palestinese giunta a difendere i Salem minacciati di espulsione dalla casa in cui vive da decine di anni. Un destino che accomuna i Salem ad altre 27 famiglie palestinesi che abitano dagli anni 50 a Sheikh Jarrah in case costruite su terreni che una società legata alla destra estrema sostiene di aver acquisito da ebrei che vivevano lì prima della fondazione di Israele.

Il vero obiettivo di Ben Gvir – e del suo partner, il vicesindaco di Gerusalemme Arieh King che domenica si è esibito un match di boxe con il deputato palestinese Ahmed Tibi – è proprio la casa dei Salem. La polizia per ragioni di ordine pubblico non ha ancora eseguito lo «sfratto» come invece ha fatto con la famiglia Salhiye, sempre a Sheikh Jarrah, il mese scorso. La permanenza di Ben Gvir nella zona con la tensione che ne consegue potrebbe convincerla ad accelerare l’espulsione (comunque già decisa da Israele) della famiglia palestinese per «garantire la sicurezza» dei coloni in quella zona. Con il risultato di scatenare proteste simili a quelle della scorsa primavera, poi sfociate nell’escalation militare tra Hamas e Israele. Il movimento islamico da Gaza ha già lanciato avvertimenti. Il presidente dell’Anp Abu Mazen invece tace.

Domenica notte mentre divampavano gli scontri a Sheikh Jarrah, un ragazzo di 17 anni è stato ucciso dagli spari di soldati a Silat al-Harithiya (Jenin) durante le proteste seguite alla demolizione della casa di un palestinese accusato dell’uccisione di un colono israeliano, Yehuda Dimentam, in Cisgiordania. Ieri centinaia di persone hanno partecipato ai suoi funerali.