Nel 1975, avevo sedici anni, presi la prima tessera della Fgci dalle mani del compagno Costantini di Neviano, in provincia di Lecce. Da allora, ho seguito le sorti del Partito (lo scrivo con la maiuscola) in tutte le sue evoluzioni, nelle traversie e nelle prove difficili. Dopo una breve esperienza come insegnante precario, ho avuto la fortuna di lavorare come funzionario del Pci e poi del Pds. In seguito, sono passato al sindacato, alla Fiom, prima a Lecce e poi a Roma, e infine oggi alla Cgil nazionale. Sarei un “rivoluzionario di professione”, come si definivano i funzionari politici a tempo pieno. Ho creduto al progetto del Pd e ho – nel vivo di una esperienza sindacale difficile come quella tesa a rappresentare le ragioni dell’area “riformista” della Fiom – contribuito a fondare il nuovo partito, della cui Assemblea nazionale faccio parte.

Oggi, di fronte al disastro, con sofferenza enorme e con il lutto di chi perde l’amore di una vita, dico basta. Basta allo spreco di speranze da parte di un gruppo dirigente libanizzato e di piccoli grandi elettori in gran parte riflesso dello specchio frantumato che è oggi il Pd. Basta ad un amalgama malriuscito e che, però, si è tenuto in vita solo per soddisfare aspettative personali di leader dalle politiche fallimentari, di capibranco intenti solo a mordersi reciprocamente. Basta alla sceneggiata di infinite diatribe e contrapposte posizioni su ogni argomento. Basta, ogni volta che c’è una manifestazione sindacale, al tormentone del ci vado, non ci vado… Basta al rinvio sistematico della discussione sull’identità e sulla cultura politica del partito. Chi siamo, da dove veniamo, cosa vogliamo, a quale famiglia politica guardiamo?

Non aver mai voluto rispondere a queste domande, è la ragione dell’implosione di oggi. C’è una responsabilità comune: i vecchi, i nuovi, i giovani (più o meno turchi), i rottamatori. Compreso me, nel mio piccolo. Sento anch’io la responsabilità dell’assurdo di una situazione che va a sfociare nelle larghe intese (e dunque nella dissociazione del Pd dalla sua campagna elettorale e dal sentire comune di gran parte dei suoi elettori), mentre si sarebbe dovuto tenere dritta la barra in direzione del governo di cambiamento, usando il metodo che ha portato all’elezione dei presidenti delle Camere. Per quanto mi riguarda, non posso più condividere questa responsabilità e, dunque, lascio il mio posto nell’Assemblea nazionale del Pd.

Rivolgo un appello a Epifani, Barca, Nencini e Vendola, per la convocazione degli stati generali per il partito della sinistra democratica italiana, nel solco del socialismo europeo.