Una edizione densa, eppure concentrata di stimoli e valori teatrali diversi, è stata quella appena conclusa di Vie, il festival di Emilia Romagna Teatro che ogni anno permette al pubblico italiano di scoprire il nuovo che gira sui palcoscenici europei, e anche in casa nostra. Due le presenze «forti», e di grande palcoscenico, provenienti dall’estero. Una dalla Grecia, con un’artista praticamente sconosciuta in Italia, e un altro dalla Polonia, con una personalità nota e apprezzata in tutta Europa.
Lo spettacolo ellenico Halepas viene dal nome del personaggio protagonista, Yanoulis Halepas, scultore nella Grecia di due secoli fa, che dopo aver realizzato a 24 anni (nel 1877) l’opera sua più famosa, un monumento funebre chiamato La fanciulla dormiente, entra in una profonda crisi neurologica che gli impedirà per quarant’anni qualsiasi creazione artistica. Anche se quel capolavoro marmoreo farà parlare di lui come un Rodin ellenico, solo dopo tanti anni, alla morte della madre, riacquistò vitalità e soprattutto la sua vena artistica. La regista Argyro Chioti (anche attrice nello spettacolo) scoprì in un soggiorno a Tinos, isola della Cicladi, la storia di quell’artista, che pensò di portare in scena in qualche modo, chiedendo un testo al regista cinematografico (nonché musicista di successo) The Boy, e una partitura musicale al compositore Jan van Angelopoulos. Ne è nato lo spettacolo visto all’Arena del sole, che lungi dall’essere la ricostruzione biografica della vita dello scultore, è un susseguirsi di suggestioni tra recitazione, danza, suoni e visioni, con un corposo cast a lanciare lampi e squarci sulla vita e i comportamenti dell’artista Halepas. Non c’è uno sviluppo narrativo, ma un succedersi di suggestioni, rese meno facili da recepire dalla lingua greca (benché non manchino i sottotitoli). Un susseguirsi di suggestioni tra recitazione, danza, suoni e visioni, con un corposo cast a lanciare lampi e squarci sulla vita e i comportamenti dell’artista Halepas

È UN’OPERA danzata più che recitata, con costumi e scenografie fascinosi, da cui cogliere la straordinarietà (con tutte le sue contraddizioni) di un uomo davvero posseduto dall’arte. Molto diverso il discorso per il lavoro di Krystian Lupa, artista molto amato in Polonia e in Europa (diversi suoi spettacoli sono stati prodotti dalle più importanti istituzioni francesi), vincitore del premio Europa per il teatro, e del resto questa sua ultima creazione è frutto del progetto Prospero, ovvero la sinergia dei più importanti teatri del continente. È un teatro moderno e nervoso il suo, problematico e con svariati elementi di riflessione generale, come attesta il suo successo in tanti paesi. Per lo spettatore italiano, sicuramente risulta più affascinante e coinvolgente almeno la prima parte del suo kolossal giunto al teatro Storchi di Modena (sei ore la durata, compreso un intervallo di 30 minuti a metà circa del racconto). Il titolo dello spettacolo, Imagine, viene dritto dalla celeberrima canzone di John Lennon (che vi appare pure, in diversi filmati, come anche Yoko Ono), E sono artisti e intellettuali proiettati dalla scena americana sul mondo dopo il ’68, a prestare il nome ai personaggi dello spettacolo, da Joan (Baez), a Janis (Joplin) a Susan (Sontag ovviamente). Di loro si parla, e dei loro pensieri e parole, per arrivare presto alla caduta e al fallimento (nel senso letterale di errata e mancata realizzazione) anche in Europa.

QUEL CONTRASTO tra l’illusione e la successiva e cocente delusione, ci risulta ancor più drammatica pensando alla realtà polacca che vede i suoi governanti attuali al seguito del premier ungherese Orban (mentre giganteggia sullo sfondo Lech Walesa…). Ma dopo quella struggente conclusione della prima parte, cambia il ritmo di quella amara Imagine polacca. L’elemento drammatico si fa forse ancora più forte, ma meno coinvolgente. Le reazioni individuali dei personaggi ci risultano in qualche modo più estranee e sfocate, dai rapporti tra uomini e donne, a quelli con il danaro o con una vita all’apparenza più borghese, recitata con grande disinvoltura da attori nudi e persi dietro i loro litigiosi pensieri. Forse meno comprensibili per noi, e quindi meno condivisibili. Come capita, anche nei migliori spettacoli.