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La mediasetizzazione della Liguria e del suo capoluogo continua con la nomina del nuovo presidente della Fondazione Cultura di Palazzo Ducale. Dopo il decennio presieduto dallo storico Luca Borzani, uomo di sinistra vicino all’operaismo, che ha cambiato le abitudini dei genovesi in termini di cultura, il suo successore è il comico Luca Bizzarri, volto noto di Mediaset.

In parallelo il colpo di coda dell’amministrazione Doria è stato il concorso per il curatore del Museo di arte contemporanea di Villa Croce, vinto dal giornalista Carlo Antonelli (ex direttore di magazine come Rolling Stone e Wired). Entrambi i casi sono il sintomo di una asfittica idea culturale che la sinistra prima e il neo sindaco Bucci ora, hanno manifestato con queste nomine.

D’altronde, vecchie e nuove giunte hanno dimenticato il carattere sperimentale di Genova, dal teatro di Ivo Chiesa ai balletti di Nervi, dalla mostra dell’Arte povera alle prime rassegne europee di Gordon Matta-Clark e Allan Kaprow, fino ai progetti attuati dall’assessore Sartori nel decennio ’75-’85 durante la giunta Cerofolini. Una città che si è risvegliata a destra nelle ultime elezioni pensava ingenuamente che si potessero cambiare logiche consolidate. Invece, come dimostra il caso di Palazzo Ducale, lo strumento usato per scegliere il presidente non è stato il concorso pubblico, come è avvenuto per Villa Croce, bensì la chiamata diretta (esperienza gestionale di una istituzione culturale non richiesta).

La nomina di Bizzarri pone un’altra questione: il ruolo delle classi dirigenti e degli intellettuali, cittadini assuefatti alle situazioni che periodicamente si verificano, privi di alternative credibili, mentre gli imprenditori elemosinano risorse all’agonizzante Villa Croce. In questo panorama di fallimento della borghesia, un’eccezione è il costruttore Davide Viziano e il suo Palazzo della Meridiana, sede di mostre sotto la guida di Giuseppe Marcenaro e Pietro Boragina.
Se da una parte c’è una forte propensione alla sperimentazione, dall’arte all’architettura, dall’altra è assente la presenza del pubblico nell’offrire occasioni di verifica e confronto agli artisti e «ricercatori» che, nonostante tutto, continuano a vivere a Genova. Così la cultura non viene considerata come una possibilità di rinascita della città, ma un modo per spettacolarizzare ulteriormente una società già alla deriva.