Non poteva che tenersi al Design Museum la bellissima mostra su Stanley Kubrick che ha appena chiuso i battenti a Londra. Per riprodurre al meglio i suoi mondi, il regista newyorkese si è affidato a grandi innovatori come Ken Adam, Hardy Amies e Saul Bass, infarcendo così i suoi film degli ultimi ritrovati della tecnologia e di indumenti e oggetti destinati a influenzare l’immaginario collettivo.
A 20 anni dalla sua morte, la tappa inglese è stata di certo la più significativa di un tour partito dalla Germania per poi girare tutto il mondo. Un «must» per tutti i cinefili, che infatti sono accorsi numerosi a vedere gli oltre 700 memorabilia usati nei capolavori del maestro statunitense, ma inglese d’adozione.
All’ingresso anche noi siamo stati accolti dalla fedele riproduzione del tappeto rosso sul quale, a bordo del suo triciclo, pedala il piccolo Danny in Shining e dalle inconfondibili note del Così parlò Zarathustra chiesto in prestito a Strauss per 2001 Odissea nello Spazio.

Percorrendo le dieci stanze tematiche ci si immerge nella mente di un genio assoluto, del quale si apprendono aspetti e storie poco conosciute al grande pubblico. A cominciare dalla sua passione per gli scacchi o dai suoi esordi come fotografo per Look, come testimoniano alcuni dei più celebri scatti eseguiti per la rivista.
Il filo rosso che lega il Kubrick privato e il Kubrick regista di pietre miliari della storia del cinema è la sua incessante ricerca della perfezione. Quella ossessione per i dettagli di cui è permeato tutto il percorso della mostra, dedicata per buona parte ai suoi film.

Kubrick ricercava, analizzava e studiava per anni, senza sosta. Esemplificativa è la ricchissima raccolta di libri su Napoleone, personaggio del quale sapeva letteralmente tutto, al punto da compilare dettagliatissime schede sulla sua vita di ogni giorno, da quando era uno sconosciuto ufficiale in Corsica, fino alla autoproclamazione a imperatore. Per il ruolo di Napoleone, Kubrick aveva pensato a Jack Nicholson, mentre per Giuseppina, come racconta uno scambio epistolare contenuto nella mostra, la candidata era Audrey Hepburn. C’era già una possibile location, la Romania, visto che l’esercito locale avrebbe messo a disposizione fino a 50mila soldati per le scene delle battaglie. Ma i due anni di lavoro dedicati da Kubrick al progetto furono spazzati via dalle paure dei finanziatori, i quali temevano che il film potesse rivelarsi un clamoroso flop. Lo scorso anno Steven Spielberg ha reso noto che ha intenzione di produrre una mini-serie basata sulla sceneggiatura redatta dall’amico-collega. Lo stesso Spielberg aveva «ereditato» da Kubrick Artificial Intelligence, messo in naftalina per concentrarsi su Eyes Wide Shut, ultima opera prima della morte del regista.

Il perfezionismo di Kubrick spesso comportava dei tempi dilatati non solo nella preparazione, ma anche nella realizzazione dei film. 2001 Odissea nello Spazio ha visto la luce solo due anni e mezzo dopo la fine delle riprese – servirono 18 mesi solo per gli effetti speciali – mentre un ruolo non secondario in questa «lentezza creativa» lo ha senza dubbio giocato la sua avversione ai viaggi, perché rincorrere posti reali e in un certo senso adattarli alle sue esigenze cinematografiche costituiva per lui un impaccio. «Gli studi hanno una semplicità quasi classica, lì tutto è scuro e la luce proviene da dove ce lo si aspetta, c’è una calma che favorisce la concentrazione e non bisogna preoccuparsi di 500 curiosi che sono stati bloccati dalla polizia vicino a dove si sta girando o di altri milioni di distrazioni», soleva dire il grande regista che però, per fare dei set una riproduzione quanto più fedele possibile alla realtà, faceva fotografare nei minimi particolari, ça va sans dire, le vere ambientazioni dei suoi film.

E così la facciata dell’Overlook Hotel di Shining riprende un albergo in Oregon, mentre i suoi interni si ispirano a un altro edificio che si trovava nello Yosemite National Park. Poi tutto è stato riprodotto nei mitici Elstree Studios di Londra.
Già, la capitale inglese è un altro elemento imprescindibile del percorso artistico di Kubrick. A Londra si scatena la distopia dell’ultraviolenza di Arancia Meccanica e vengono ricreati gli scenari più disparati: le Montagne Rocciose di Shining, il paesaggio lunare di 2001 Odissea nello Spazio e la giungla vietnamita di Full Metal Jacket.
Forse l’impresa più estrema e meglio riuscita, grazie ai buoni servigi dello scenografo Anton Furst, fu quella di trasformare i 600 acri intorno alla Beckton Gas Works, un gigantesco impianto risalente agli anni Trenta ma abbandonato nel 1969, nei resti di Hue, la città vietnamita che fu distrutta dagli americani che fa da sfondo alla seconda parte di Full Metal Jacket. Per l’impresa furono necessarie sei settimane di demolizioni selettive e una serie di esplosioni, unite a 200 palme vere e 100mila finte.

Tra i film che, obtorto collo, Kubrick ha dovuto girare in varie località (Regno Unito, ma anche Irlanda e Germania) c’è Barry Lyndon, che ha previsto anche una deroga alla sua maniacalità filologica, poiché la musica di Franz Schubert inserita nella colonna sonora è stata composta dal compositore austriaco 50 anni dopo i fatti narrati nella pellicola.
Oltre alla mappa dei vari castelli usati per le ambientazioni, la mostra permette di ammirare i costumi originali preparati da Milena Canonero. I vestiti di Barry Lyndon e signora sono senza dubbio tra i pezzi forti degli oggetti esposti, insieme ai costumi dei Drughi, all’erotico mobilio del Korova Milk Bar, alla Durango 95, fino ad arrivare all’elmetto di Soldato Joker, ai vestitini delle perfide gemelline di Shining e al costume della scimmia di 2001 Odissea nello Spazio.
Se non mancano i «ferri del mestiere», come la steadicam inventata da Garrett Brown e diventata subito una fedele amica di Kubrick, il piacere massimo per gli appassionati è stato potersi godere sugli schermi ad alta risoluzione posizionati lungo le pareti delle sale i passaggi più famosi dei film, oltre a molto materiale inedito e a scene tagliate mai viste in precedenza. Insomma, un vero e proprio inno al cinema e a uno dei suoi massimi esponenti.