Se non fosse che era il cinque di agosto, uno, da un posto così, ci sarebbe passato senza neppure guardarlo. Case tanto garbate quanto anonime, ai piedi dei boschi e sui due lati della Via Modenese, in mezzo alla montagna. Settecento metri di altitudine, e sotto, sulla piana, le macchie urbane di Pistoia, lontana quattordici chilometri, di Firenze e Prato. Il cinque d’agosto, però, da un posto così non ci passi soltanto. Ti ci fermi. A proposito: quel posto così fa di nome Le piastre, comune per due anni sul finire del Secolo dei Lumi, poi eterna frazione pistoiese, ottanta residenti. Come sovente succede in questa incredibile e trascurata Italia, fermarsi vuol dire scoprire che anche dietro una manciata di case si nasconde una storia capace di stupire. Il primo capitolo lo racconta la ghiacciaia della Madonnina, due chilometri fuori dal paese, pardon, dalla frazione. Il tetto di paglia e la forma rotonda ricordano una capanna africana smarrita tra il verde dei castagni. La Madonnina è l’unica superstite di centinaia di strutture in cui, dal ’700 e fino a metà ’900, si produceva e si conservava, avvolto nella paglia, il ghiaccio prodotto con le acque del Reno. La maggior risorsa economica, allora, dei piastresi. Il capitolo successivo lo sussurra l’acqua della Fontana Campari, monumento di pietra all’ingresso dell’abitato. Due colonne sormontate da una testa maschile e una femminile svettano ai lati della targa con il marchio Campari e le scritte ‘Aperitivo’ e ‘Cordial’, in basso la vasca. Da queste parti se ne contavano dodici, tutte opera di Giuseppe Gronchi, che le disegnò per l’azienda milanese agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso. A Le piastre venne collocata nel 1937. Un’altra rimane in piedi a Chiusi La Verna. La domanda è lecita: per quale diavolo di ragione mettere una fontana ‘pubblicitaria’ proprio qui, nel nulla di quei tempi? La risposta è semplice: per buona parte dell’Ottocento e del secolo numero venti Le piastre fu luogo ameno di una villeggiatura che portava le famiglie dell’aristocrazia e della buona borghesia a trascorrere l’estate fuori porta, nel fresco montano e pungente dell’aria. Insieme alle case di vacanza sorsero ben undici alberghi, tutti scomparsi tranne quello che adesso ospita una quarantina di richiedenti asilo. Poi viaggiare divenne altra cosa, e Le Piastre tornò a scivolare nella solitudine. Il capitolo numero tre, ancora in corso di scrittura, si intitola ‘Metato’. Non è chiara l’etimologia di una parola riferita alle costruzioni rustiche, alcune tutt’ora visibili nella zona, dove al pianterreno bruciava ininterrottamente la brace di un ceppo. Il fumo, attraverso le fessure del pavimento, saliva al piano superiore essiccando le castagne che lo ricoprivano. Intorno alla brace dei metati si radunavano gli uomini a fare veglia con il calare del buio. I riflessi rossastri del fuoco illuminavano la figura del raccontatore e gli sguardi attoniti di chi lo ascoltava. Nacque così, sera dopo sera, quando l’unità d’Italia era appena quarantenne, la fama di Le piastre paese bugiardo. Ne furono artefici boscaioli, carbonai, ghiacciaioli, maestro supremo Pietro Corsini detto Pietrone. Narrava, Pietro, di Garibaldi tradito da Anita con un certo abate Gavazzi e sosteneva che Napoleone non fosse mai esistito. Le sue innocue menzogne duravano quanto il sigaro fumato piano, assaporando l’incredulità del pubblico. La notte seguente, un altro sigaro avrebbe scandito altre fantasie. Corsini fu involontario creatore di un genere di bugia ben preciso, che traeva spunto dalla realtà, salvo poi alterarla a piacimento. Chiarito che a Le piastre tutti continuano a chiamarsi Corsini e Begliomini senza necessità di parentela, leggendario mentitore fu anche Benvenuto Corsini, il Monti. Bersagliere giramondo, vantava imprese epiche e amicizie personali altolocate, persino con lo zar di Russia. Vittime preferite delle ingegnose panzane erano i villeggianti, ansiosi di ascoltare i Tartarin di Tarascona locali e pronti a bersi la fandonia più spudorata. Ora, per arrivare al cinque agosto 2017, occorre tornare alle castagne affumicate nei metati. Davano la farina dolce per la polenda (con la lettera di), celebrata l’ultima settimana di carnevale con una sagra. Unico avvenimento in grado di scuotere Le piastre, almeno per un giorno, dalla sua apatia. Gennaio 1966. A un tavolino del bar Margherita, Pupi Avati non c’entra, Giancarlo e Mauro Corsini si arrovellano cercando un’idea capace di rendere polenda e sagra autentiche attrazioni. Sul lato opposto della strada c’è la vecchia casa del Monti, mentitore eccelso. Ecco l’ispirazione, ecco l’idea: dar vita a una gara che incoroni il re italiano dei bugiardi. L’idea maturerà di fronte al camino di una stanza dell’edificio in cui ha da poco aperto il Museo dedicato all’arte di mentire. Il 27 febbraio, alla Sagra della polenda si accompagna la prima edizione del Campionato italiano della bugia. Vince Giancarlo, raccontando di un sacco di farina di castagne appeso a un chiodo nella sua cantina. Nel 1995 la tenzone verrà spostata ad agosto, ampliando le sue sezioni e registrando una costante crescita di partecipanti non solo dall’Italia. La cronaca della cinquantunesima edizione la leggerete poco oltre, in queste pagine, firmata da un giurato involontario. Cronaca vera, che ci crediate o no.

I vincitori sul palco

È un’Italia povera, aggrappata al lavoro e alla sopravvivenza, quella ritratta nelle fotografie delle prime edizioni del Campionato. L’archivio in bianco e nero consegna immagini di uomini e donne vestiti a festa, un palco allestito alla buona, luminarie e palloncini sospesi sulla Via Modenese. I sorrisi della gente sembrano velati di una fatica che nessun giorno spensierato riuscirà mai a mettere da parte. Le cose cambiano continuando a sfogliare l’archivio. Il colore sostituisce il bianco e nero, il palco diventa più ricco, i vestiti della festa ammiccano alle mode, arrivano ospiti importanti ad accrescere il lustro della manifestazione. In cinquant’anni, il certame dei bugiardi si è interrotto dieci volte, per varie ragioni, allungando sempre di più il proprio naso a ciascuna ripresa. Nel 1987 si aggiunge la sezione grafica, nel 2000 la sezione riservata ai bambini; nel 2002 la sezione letteraria, giudice lo scrittore Sandro Veronesi; nel 2013 la sezione radiofonica. Dal 1995, trofeo ufficiale è la statuetta del Bugiardino: bronzo, argento e oro assegnati nella sezione verbale da una giuria, presidente 2017 Paolo Hendel. Di tale giuria, ai bordi dell’unica piazza, afflitta da un sole invincibile e feroce, è stato chiamato a far parte colui che adesso scrive. Se darvi conto di moderne bugie e di moderni raccontatori è dunque suo preciso dovere, la cronaca risulterebbe incompleta senza descrivere Le piastre nei giorni del Campionato. Quando l’ironia e la burla sommergono il paese di cartelli, targhe commemorative, attrattive turistiche oltre ogni limite dell’assurdo. Un vestito femminile da spiaggia, appeso al cancello di una casa, risulta appartenere alla principessa Sissi, che due domeniche prima ha fatto il bagno nel Reno. Una targa murata ricorda il livello della siccità raggiunto nel 2003. Un segnale di pericolo avverte ‘Jene al pascolo’, altri indicano il Museo Nazionale delle Ragnatele, le miniere d’oro, l’inizio di un cantiere TAV, il gemellaggio con Hong Kong. Gemellaggi veri Le piastre li ha siglati con Moncrabeau, Guascogna, e Namour, Belgio, rispettivamente sedi dell’Accademia e della Reale Società, entrambe intitolate ai bugiardi. In rappresentanza di Moncrabeau giravano per le vie sei personaggi imprigionati nel velluto e nelle trine dei costumi di ordinanza. Alla domanda ‘Avete molto caldo?’ rispondevano di no, ma sudore e smorfie denunciavano la falsità dell’affermazione. Presenza importante, sempre nelle vie, le centodieci vignette arrivate da tutto il mondo. Premiati fra gli italiani, dall’oro al bronzo, Stefano Gamboni di Roma, Mariagrazia Quaranta di Sulmona e Athos Careghi di Milano. Fra gli stranieri, Mojtaba Heidarpanah, Iran; Alexei Talimonov, Gran Bretagna; Seyran Caferli, Azerbaijan. Il premio letterario è andato a Roberta Cadorin di Udine, con Apollo 11, racconto dello storico atterraggio sulla luna, oggetto di molte leggende metropolitane. Sei agosto, ore sedici e trenta, il giurato che adesso sta scrivendo siede al tavolo e apre la cartellina. Dentro, due fogli divisi in caselle: nome del partecipante, nome della bugia, voto (da zero a dieci), senza pietà. Accanto a lui, Paolo Hendel corregge gli appunti della lectio magistralis che terrà dopo la premiazione. Si comincia, sale sul palco il primo dei trenta concorrenti per affrontare il tema ‘Letteratura, arte, teatro e altro: bugie attorno alla cultura’. Molti gli accenti regionali, in mezzo ai quali risuonano il bolognese di Vincenzo Menna, la cadenza sabauda di Michela Ghinazzi, il romanesco di Dario Di Simone, il bergamasco di Cristina Manzoni, l’italiano eroico dei tre contendenti dalla Nigeria e dal Mali. I giurati sbirciano i pareri numerici del vicino, correggono eccessive severità, si consultano. Alle loro spalle una gentile incaricata prende nota dei voti. L’ultima bugia si liquefa nei trentacinque gradi delle sette di sera. Emanuele Begliomini, dal 2004 anima del Campionato, proclama i vincitori. Bugiardino d’oro a Luca Palamidessi da Montecatini Terme per la seguente, geniale, bufala, qui riassunta «Il Nobel per la cultura 2018 andrà a Gigi D’Alessio perché nessuno come lui ha fatto tanto per convincere tutti coloro che hanno ascoltato le sue canzoni a darsi alla lettura dei libri». Bugiardino d’argento a Diallo Balé e N’Faly Dembel, richiedenti asilo del Mali «Laureati in economia e commercio, siamo arrivati in Italia per un master, ma nel Centro di Accoglienza abbiamo scoperto che ci avevano raccontato una bugia. Lì ci offrivano di frequentare… l’asilo». Applausi fragorosi del pubblico all’annuncio del premio. Bronzo per Teresa Fregola di Cusumaro (Ferrara), che rassicura il figlio al primo giorno di scuola: avrà insegnanti collaborativi, compagni modello, aule tecnologiche, programmi aggiornati. Rivelando in chiusura che le rassicurazioni erano rivolte al marito, appena nominato preside. Davvero magistrale la lectio di Hendel, divisa tra le menzogne diffuse in internet e una serie di epitaffi di sua invenzione. Acido solforico l’ultimo, sulla tomba di un precario: finalmente un posto fisso.

Il festival lo inaugurò Dustin Hoffman

C’era un cinese a Le piastre, il cinque agosto. Anzi due, un giornalista e un operatore della CCTV, China Central Television, la tv nazionale cinese. Anche loro lì, a documentare la cerimonia di apertura dell’unico museo al mondo consacrato alla bugia. Per inciso: non è una balla. Pazienza, ostinazione tutta montanara, ricerca infaticabile di fondi sono le virtù cui hanno fatto ricorso Mauro ed Emanuele Begliomini, padre e figlio, per aprire le nove stanze che della menzogna raccolgono centinaia di esempi in forma di scrittura, immagini, oggetti, diplomi, trofei. Sessantun pannelli esplicativi guidano lungo il percorso, capace sovente di porre il visitatore in bilico sulla sottile linea di confine tra vero e falso. Sarà taroccata la riproduzione dello schermo di un televisore dove Carlo Conti, in una puntata del quiz L’eredità, fa ai concorrenti una domanda sul Campionato piastrese? Sorvolando circa la credibilità del tappo longobardo per turare e sturare il lago di Como, qualche chance va concessa all’indicazione che segnala la presenza di uno stabilimento termale. Perché non potrebbe esistere? Poco oltre, un capannello di persone guarda una vecchia foto in bianco e nero. Secondo la didascalia il personaggio immortalato è Dustin Hoffman, cui venne affidato il compito di inaugurare il primo Campionato, nel 1966. Ora: osservando bene il bianco e nero, quel tizio, a Dustin, somiglia incredibilmente. Sveliamo l’arcano. Da giovane, Giancarlo Corsini era un quasi sosia dell’Hoffman de Il Laureato e Un uomo da marciapiede. Sedendosi sulla poltrona accanto al camino della Sala Pietrone si dà voce a un repertorio di bugie dei raccontatori, completate da quelle riportate sui pannelli della Sala Mauro Corsini. Federica Biagini, 1973 «Mario Tuti, il terrorista più ricercato d’Italia, l’altra sera chiamò a casa di sua madre per chiederle se fosse arrivata posta per lui e se, nel frattempo, lo avesse cercato nessuno. La mamma rispose di no». Andrea Belli, 1981 «Quest’estate faceva così caldo, che se non avessi dato il ghiaccio alle mie galline, avrebbero continuato a farmi le uova sode». Ma forse la cosa più incredibile è proprio questo piccolo museo, nato dal lavoro di otto volontari che con appena trentamila euro a disposizione hanno restaurato l’edificio, montato trecento e cinquanta metri di pannelli, teso quattrocento metri di cavi elettrici, avvitato ottomila cinquecento e quaranta lampadine, affisso novantacinque fotografie e duecento e ventisette vignette, attrezzato uno spazio polivalente con forno a legna. I loro ritratti sono incorniciati nelle finestre del museo che guardano la strada. Doveroso omaggio a chi non smette di credere che l’Italia cosiddetta minore sia un patrimonio di bellezze, memorie, tradizioni, da conservare e valorizzare mettendo in conto non pochi sacrifici. Si fa presto a dire Venezia e Roma. Le piastre devi proprio andartela a cercare. Minuscola, sperduta frazione di Pistoia, dove i bugiardi, da un secolo, prendono a prestito la fantasia per raccontare la verità.

IL LIBRO

L’Accademia della bugia, altra meritevole istituzione piastrese, ha pubblicato, in occasione dell’apertura del museo, il volume Il paese delle bugie, Festina Lente Edizioni, 18 euro, per informazioni accademiabugia@gmail.com. La prima parte ricostruisce la storia del paese, racconta i mestieri antichi e la Sagra della Polenda, dedica ampio spazio ai raccontatori che hanno dato a Le piastre fama bugiarda. Della seconda è protagonista il Campionato, dalle origini a oggi, con un corposo apparato iconografico di fotografie, vignette, manifesti. Segue un’antologia delle migliori bugie e degli scritti premiati nella sezione letteraria. In appendice gli affettuosi contributi, tra gli altri, di Gene Gnocchi (presidente onorario dell’Accademia), Lella Costa e Silver, il papà di Lupo Alberto (lds)

Magliette e spaghetti

L’ingresso al museo è gratuito, mentre sono in vendita, nell’apposito spazio dedicato, memorabilia e gadget. Non esitate a far vostre le magliette su cui campeggia la scritta Museo della bugia, o quelle che riproducono il Pinocchio disegnato da Marilena Nardi, che compare anche su un elegante taccuino bianco; il magnete e la spilla, i bloc notes, i quaderni rilegati, le sciarpette degli accademici e, ovviamente, Il paese delle bugie, testo da custodire gelosamente nella libreria di casa. Suggerimento di carattere gastronomico viene dal Ristorante Pizzeria Amalfi, cuoco campano e menu meticcio, 0573 472075. Crostini toscani, tagliata, tagliatelle con i funghi convivono felicemente con la frittura di pesce e la pastiera. Imperdibili gli spaghetti che nel cartoccio nascondono pomodoro, pesce e vongole