Da presidente del Cda dell’Aret (Azienda regionale per l’edilizia e il territorio), stabilizzò gli unici cinque dipendenti, tutti precari, dell’ente pubblico abruzzese poi soppresso, e stipulò con il direttore un nuovo contratto che ne riduceva l’indennità da 110 mila euro lordi l’anno a 39 mila. «Reati» per i quali Giulio Petrilli è stato condannato in via definitiva a otto mesi di carcere senza condizionale dalla Corte di Cassazione de L’Aquila che ha confermato il primo grado ritenendolo colpevole di abuso in atti d’ufficio. Mentre la Corte dei Conti gli ha imposto di risarcire lo Stato con 155 mila euro.

Tenterà anche il ricorso in Cassazione, Petrilli – che in passato è stato anche segretario provinciale del Prc de L’Aquila e responsabile Giustizia del Pd locale – ma il rischio che la sentenza diventi esecutiva è concreto. Così, l’ex presidente dell’Aret dal 2006 al 2008, sostenuto allora dal Prc, rischia ora di finire nuovamente in carcere. Anche se stavolta la verità giudiziaria gli dà torto e perciò lo Stato non gli chiederà mai scusa, a differenza di quanto avvenne nel 1989 quando, dopo sei anni di duro carcere preventivo, venne definitivamente assolto dall’accusa di essere stato – a soli 18 anni – uno dei capi dei terroristi di Prima Linea. Un precedente, questo, insieme ad una serie di piccoli reati commessi negli anni ’70 come occupazione di case o manifestazioni non autorizzate («per i quali però ho ottenuto la riabilitazione dal Tribunale di sorveglianza aquilano») che ha portato i giudici a non concedere la condizionale sulla pena.

«Non solo mi considero innocente di qualsiasi reato, ma rivendico di aver fatto la cosa giusta – afferma Petrilli – Un’azienda pubblica non può non avere nemmeno un dipendente fisso, una piccola pianta organica. Erano giovani ingegneri e professionisti stabilizzati a 1100 euro al mese. Nelle due delibere avevo scritto “da ratificarsi nel prossimo Cda” che era in via di rinnovamento perché tre dei cinque membri si erano dimessi per candidarsi al consiglio regionale. La Regione, dopo le elezioni presieduta dal Polo, aveva l’obbligo di nominare il Cda entro tre mesi. Non lo fece mai. Ma se il mio è stato un illecito, perché quei dipendenti non sono stati poi rimossi nemmeno dai due commissari straordinari dell’Aret? Perché lavorano ancora?».

Petrilli non è mai stato neppure accusato di aver intascato proventi per sé o di averne tratto benefici personali. Fece quelle scelte nel 2008, quando la crisi economica iniziava a mordere forte, e per lui era «un modo per riportare legalità e rigore nell’azienda che aveva il compito di coordinare le varie Ater abruzzesi per sviluppare l’edilizia residenziale pubblica in una regione dove ancora esistevano le baracche post terremoto del 1915». Petrilli però è un personaggio scomodo: da tempo conduce una battaglia per ottenere l’indennità per ingiusta detenzione (ma la legge è dell’ottobre 1989 e non può essere retroattiva). Negli anni dell’Aret, con un finanziamento europeo avviò progetti sociali a Mitrovica e in Serbia, pianificò un centro di accoglienza per migranti a Celano (Aq) e uno per donne in difficoltà a Giulianova (Te). Ma soprattutto, nel 2007 partecipò ad una manifestazione molto discussa contro il carcere duro del 41 bis da cui si levarono slogan in solidarietà alla brigatista Nadia Desdemona Lioce detenuta a L’Aquila (11 persone vennero poi condannate per apologia).

Allora, tutte le forze politiche chiesero le sue dimissioni. E oggi nessuno – se non i tanti a livello personale – gli ha ancora espresso pubblica solidarietà.