Montano le proteste dei dipendenti Almaviva dopo l’annuncio di 3 mila licenziamenti recapitato lunedì. La manifestazione più grossa a Palermo, dove gli operatori del maggiore gruppo di call center italiano si sono riuniti davanti a Palazzo d’Orleans, sede della Regione. Oggi lo sciopero per l’intero turno dei lavoratori romani, con sit in davanti al quartier generale del gruppo. La sede siciliana è quella più colpita: 1670 esuberi, molte sono donne e giovani famiglie con figli in un territorio già difficile di suo. A Roma i tagli previsti sono 918, a Napoli 400. Con una nota è intervenuto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, chiedendo all’azienda di «revocare» la comunicazione dei licenziamenti.

«Invitiamo Almaviva a revocare la comunicazione di avvio della procedura di mobilità per tremila lavoratori e a rendersi disponibile a riprendere il confronto con i sindacati e le istituzioni per verificare le possibili alternative a una decisione che produrrebbe una situazione pesante dal punto di vista sociale», scrive il ministro.

«Il governo – prosegue Poletti – nell’ambito dell’attività dedicata alla gestione delle situazioni di crisi, ha dedicato una specifica attenzione al settore dei call center, con l’apertura di un tavolo dedicato e con l’adozione di provvedimenti – dagli ammortizzatori sociali, alla deducibilità totale dalla base di calcolo dell’Irap del costo del lavoro a tempo indeterminato, dal finanziamento dei contratti di solidarietà all’abolizione del massimo ribasso sugli appalti – tutti mirati a migliorare il contesto in cui operano le aziende del comparto». «Da parte nostra – conclude il ministro del Lavoro – c’è la conferma dell’impegno a favorire una soluzione positiva, riprendendo la discussione alla riunione del tavolo già convocata per il 18 aprile». Contenuti che un comunicato della viceministra allo Sviluppo economico, Teresa Bellanova, aveva già espresso la sera di lunedì, chiedendo anche lei il ritiro di tutti licenziamenti.

Almaviva ha replicato con una nota: le dichiarazioni dei due ministeri «dimostrano la rinnovata volontà, anche dopo gli impegni formali in questo senso assunti con l’azienda in sede istituzionale nel dicembre 2014, di risolvere gravi irregolarità e comprovate distorsioni che hanno colpito il settore e in maniera particolare la Società». Auspicando «un mercato più stabile e rispettoso delle regole», Almaviva spiega di non potersi comunque «esimere dall’affrontare il percorso di riorganizzazione», soprattutto dopo «l’ulteriore pesante peggioramento dei dati economici verificatosi in questo periodo, nonostante il ricorso agli ammortizzatori sociali e alle diverse azioni messe in campo».

La risposta rivela tra le righe, anzi ribadisce, un concetto già scritto a chiare lettere nella procedura di avvio licenziamento: i ministeri hanno ribadito che gli ammortizzatori sociali sono stati prolungati, in via straordinaria, fino al novembre 2017 (lo sottolineava la stessa viceministra Bellanova invitando l’azienda a «non ignorare questo fatto e a non scegliere la via più facile e drammatica»), ma i soli ammortizzatori non basteranno e non convinceranno il gruppo a fare marcia indietro.

Un intero capitolo della procedura è dedicato a spiegare il motivo per cui l’azienda, che utilizza gli ammortizzatori sociali dal 2011, non è più intenzionata a usare questi mezzi come “tampone”: si sono rivelati «inefficaci a invertire, o anche solo a ridurre» le perdite realizzate negli ultimi anni. Tra l’altro erano stati attivati, spiega sempre Almaviva, quando si annunciava da parte delle istituzioni «il contrasto alla delocalizzazione, la verifica degli utilizzi degli incentivi all’occupazione, l’attivazione di sistemi di monitoraggio», tutti obiettivi «che non si sono mai realizzati». Gli stessi sindacati all’ultimo incontro al ministero dello Sviluppo, qualche settimana fa, avevano spiegato che attivando questi strumenti «oggi si è già fuori tempo massimo».

Dall’altro lato, il governo – fanno fede le dichiarazioni di Poletti e Bellanova – sembra ora intenzionato ad agire. Al centro di tutto questo, prima ancora dei bilanci di Almaviva, c’è la vita e la sopravvivenza di 3 mila famiglie. Se davvero tutti si impegneranno, forse questi posti si potranno salvare.