Sono passate appena 24 ore dal tavolo che, nella sala della Lupa, stava lavorando al programma del Conte ter. Ieri, alle sette della sera, più o meno gli stessi protagonisti (senza i renziani) si ritrovano via zoom per elaborare il lutto di una sconfitta pensatissima: Giuseppe Conte- l’uomo a cui M5S, Pd e Leu avevano affidato i destini propri e della legislatura- è fuori dai giochi. Collegati ci sono Andrea Orlando, Nicola Zingaretti, Dario Franceschini e i capigruppo Delrio e Marcucci per il Pd, i grillini Crimi, Crippa e Licheri, Loredana De Petris e Federico Fornaro per Leu.

La rabbia per la coltellata di Renzi non è sbollita, i grillini sono in un mezzo a un guado quasi ingestibile, il loro consenso è cresciuto contro il governo tecnico di Monti, sostenere Mario Draghi pare una salita impossibile. Franceschini, da vecchio Dc, è il più rapido nel voltare pagina. E si rivolge al M5S: «La sfida è salvare il rapporto tra Pd, Cinque stelle e Leu dentro il nuovo quadro. Non lasciamo le chiavi alla destra». Tradotto: la vecchia maggioranza giallorossa può diventare il cuore di quella pro-Draghi. Per dare un’indirizzo «progressista» al nuovo esecutivo. Zingaretti gli dà manforte: «Il Recovery lo abbiamo ottenuto noi col governo Conte, non lasciamo che siano altri a decidere come spendere queste risorse per l’Italia».

I GRILLINI SONO impassibili: «Ascolteremo quello che ci dirà Draghi, valuteremo», spiegano. «Serve un governo polituco», il mantra che ripetono. Una formula che appare un po’ oscura anche a uno navigato come Andrea Orlando: «Le formule le deve trovare Draghi». Quelli di Leu sono perplessi. Fratoianni, che in mattinata aveva detto quasi no a SuperMario, a sera è più sfumato. «Non esistono governi tecnici neutri», avverte Fornaro. «Non mischieremo mai i nostri voti con quelli di Salvini!», tuona De Petris, trovando l’applauso dei grillini che non vogliono neppure sentir parlare del Matteo in camicia verde.

ANCHE IL PD È IN SOFFERENZA, teme di restare solo, senza alleati, in un governo sostenuto da Berlusconi, Renzi e Salvini. «Senza M5S e Leu anche per noi sarebbe molto difficile votare la fiducia», spiega una fonte dem. Orlando precisa: «Non bisogna dare per scontato che un nome anche prestigioso sia sufficiente, ci vuole un grosso lavoro politico, noi stiamo cercando di farlo». E ancora: «Se dopo le tarantelle di Renzi dovessimo subire quelle di Salvini non avremmo fatto un grande servizio al paese».

Al Nazareno nessuno si fa troppe illusioni sull’esito delle consultazioni di Draghi: il rischio di resare soli (come accadde a Bersani nel 2011 quando sostenne Monti senza la sinistra di Vendola) è altissimo. E il Pd per sua stessa natura non potrà dire no a Mattarella.

FRANCESCHINI E ZINGARETTI insistono: «Non dividiamoci, non diamola vinta Renzi, far saltare la nostra alleanza è il suo vero obiettivo». E ancora: «Se viene fuori una maggioranza Ursula con l’innesto di Forza Italia, Matteo non conta più nulla». Gli esponenti del M5S ascoltano, non c’è un sì e neppure un no. Franceschini avverte: «Prima o poi si andrà alle urne, se in questi mesi ci allontaniamo poi sarà più complicato fare un’alleanza».

«Incontro interlocutorio», dice Orlando alla fine. «Positiva la disponibilità di tutti a tenere aperta una prospettiva unitaria», dice Zingaretti. «E’ un patrimonio da tutelare». Sia il segretario che Goffredo Bettini spendono parole di elogio per Giuseppe Conte: vorrebbero che fosse lui a portare la ex maggioranza su Draghi, con un atto politico da leader di una coalizione ancora viva. «Ci stiamo lavorando», garantiscono dal Nazareno. «Lui sarà il primo e più e convinto sostenitore di Draghi», assicura Franceschini.

DELRIO È IL PIÙ CONVINTO su Draghi: «Vogliamo sostenere attivamente il suo sforzo», dice in mattinata ai deputati dem. Dentro il Pd covano malumori per la linea tenuta fin qui, «o Conte o morte», ma per ora restano a voce bassa. Bettini, il più contiano di tutti, non nasconde i dubbi: «Con quale base parlamentare Draghi potrà garantire un governo ampio e autorevole? Il Pd è disponibile, ma dire Draghi e basta significherebbe un vero e proprio “sciopero” della nostra funzione di rappresentanza politica. E non aiuterebbe lo stesso Draghi». Per il Pd, con o senza alleati, si apre la partita sul “come” stare nel nuovo governo. E non sarà facile.