Prossimo ormai alla fine dei suoi giorni, imprigionato nella «tomba di materassi» in cui trascorse gli ultimi anni della sua vita, il grande poeta Heinrich Heine rimpiangeva di non essere arrivato a scrivere il suo libro migliore: un poema sulla saga di Till Eulenspiegel. Agli amici che andavano a trovarlo lo descriveva come il suo capolavoro invisibile: «Avrei fatto finta di andare io stesso in giro a raccogliere tutte le notizie possibili su Eulenspiegel e l’avrei fatto in modo così approfondito da far credere ai filologi di trovarsi davanti a un’opera erudita, ma tra una cosa e l’altra avrei detto tutto quello che mi pareva su dio e sul mondo».

Non c’è da stupirsi che il più grande talento satirico mai nato in Germania fosse attratto dalla figura di Till Eulenspiegel. Da sempre, il leggendario artefice di burle memorabili, vissuto fra il 1300 e il 1350 nella zona di Magdeburgo, è il prototipo dello spirito anarchico e carnevalesco della Germania, lo spregiatore di ogni autorità il cui primo gesto, da bambino, è quello di montare a cavallo dietro al padre in modo tale da mostrare le terga a tutti i passanti e l’ultimo quello di farsi seppellire a faccia in giù (aiutato da un provvido maiale) con lo stesso identico risultato. La sua fantasia irriverente non ha riguardo per nulla e nessuno e trasforma ogni modo di dire in uno sberleffo, ogni atto di deferenza in un insulto.

Una trama complessa
Lo stesso Heine considerava il libro che per primo raccontava le sue gesta, apparso anonimo nel 1515 a Strasburgo nella stamperia di Hans Grüninger, come l’opera più divertente mai scritta in tedesco e la lunga serie di riscritture cui ha dato luogo è la più chiara testimonianza del valore che la cultura europea gli ha sempre riconosciuto.
Che sia Daniel Kehlmann a riportare in vita, ora, la figura del più grande inventore di beffe concepito dal medioevo mitteleuropeo, non è un caso. Se c’è, infatti, oggi un talento ironico degno dell’eredità di Heine e degli anonimi umanisti tedeschi che, con ogni probabilità, diedero forma alla storia di Till e dei suoi scherzi, questo è proprio Kehlmann, diventato famoso in un attimo, ormai quasi quindici anni fa, con quel capolavoro di profondo sarcasmo che è La misura del mondo, il romanzo in cui le imprese intellettuali esplorative di due maestri della scienza moderna come Carl Freidrich Gauss e Alexander von Humboldt venivano dissacrate con la forza di un umorismo irresistibile. Non per nulla il suo Tyll (traduzione di Monica Pesetti, Feltrinelli, pp. 320, euro 18,00) appena uscito in italiano con il sottotitolo Il re, il cuoco e il buffone, alquanto incomprensibile visto che di cuochi in un’epoca di guerra e miseria non c’è traccia, è stato accolto immediatamente in Germania come il libro dell’anno, e ha avuto critiche entusiastiche che hanno restituito a Kehlmann il rango di grande narratore, offuscato da qualche prova precedente in tono minore.

La felicità dell’inventiva non deve però trarre in inganno: Kehlmann è uno scrittore colto, che costruisce i suoi romanzi come complessi meccanismi risolti in una prosa solo apparentemente semplice e facilmente accessibile. Il suo Till Eulenspiegel, per esempio, è un organismo a due facce che trapianta il burlone medievale, trasformato in una creatura non meno immortale del suo spirito caustico, nel XVII secolo, all’epoca della Guerra dei Trent’anni, e in tal modo confonde i suoi tratti con quelli di un’altra figura leggendaria della letteratura tedesca, l’avventuroso Simplicissimus, lo sventurato eroe del più bel romanzo creato dalla Germania del Seicento, perduto fra i fronti in perenne conflitto dell’interminabile guerra fra regni cattolici e protestanti.

Burlesco e picaresco
In questo modo il romanzo di Kehlmann assume subito connotati molteplici: è burlesco e picaresco allo stesso tempo e attribuisce al suo protagonista due volti opposti, trasformando la farsa medievale in un romanzo tragicomico. Così, Till Eulenspiegel (denominato come il suo prototipo Tyll Ulenspiegel) è reinventato come antieroe moderno e la sua storia è una specie di viaggio, ante litteram, al termine della notte a cui la forma frammentaria del romanzo conferisce il necessario, liberatorio disordine. Le vicende che hanno Tyll per protagonista non si succedono tuttavia come episodi separati, alla maniera dell’originale cinquecentesco, ma come storie inanellate l’una all’altra e collegate da fili sottili che delineano la direzione e il senso della vita dell’eroe. L’ibridazione di spunti diversi permette infatti a Kehlmann di trascorrere fra stili e registri opposti, di alternare comicità e gravità, di muoversi fra gli ambienti e le realtà differenti che Tyll attraversa nella sua molteplice esistenza e, soprattutto, di esaltare il valore di rivalsa e monito delle sue burle e delle sue avventure.

Dunque, va a tutto merito dell’originalità di Kehlmann il racconto delle origini di Tyll che, se nella storia primigenia nasceva in un castello della marca, diventa nel romanzo il figlio di poveri contadini, presto vittime dell’arroganza e della violenza dei gesuiti che condannano il padre per stregoneria e costringono il piccolo funambolo alla fuga insieme all’amica e quasi sorella Nele. Ma bisognerà aspettare più di duecento pagine per leggere della vendetta sublime che Tyll si prende sull’ormai vecchio Atanasius Kircher, molti anni prima assistente e complice del carnefice di suo padre, e altrettante bisogna aspettarne per conoscere il destino di Nele.

Un memento per l’oggi
Nel frattempo avviene di tutto, e muovendosi avanti e indietro nel tempo con il suo eroe Kehlmann tratteggia una vita straordinaria fra le miserie della più oscura epoca della storia tedesca, reinventata per similitudine con le miserie del nostro tempo e collocata fra ciarlatani, regnanti di cartapesta e, quindi, coronati dal successo, popolani ciechi e soldati per caso. C’è ragione di leggere tutto questo.
Del resto, se Tyll avesse mai incontrato il suo Goethe, se Heine fosse riuscito a scrivere il suo rimpianto Till Eulenspiegel, avremmo oggi forse un mito tedesco alternativo a quello faustiano: assai più vitale, plebeo, disincantato e folle. Quel mito porterebbe alla luce la coscienza felice della Germania, ciò che il paese di Faust non ha avuto il coraggio di essere né forse è ancora in grado di immaginare. Gli umanisti che idearono la figura di Till e che furono presto fagocitati dallo spirito della Riforma diedero corpo a un ideale di libertà ancora in cerca del suo autore. Dobbiamo accontentarci di quel che abbiamo; ma nella folla di riscritture della saga di Till Eulenspiegel il romanzo di Kehlmann è uno degli esiti più riusciti, forse il più brillante in assoluto. Un memento per la nostra epoca sempre più lontana da quella perduta capacità di immaginarsi diversi nella tristezza del mondo.