Si chiuderà oggi, con l’Agorà day – uno spazio di condivisione delle iniziative da portare avanti nel corso dell’anno – il primo Forum Sociale Mondiale in formato virtuale, 20 anni dopo la sua prima gloriosa edizione a Porto Alegre.

Grandi e profondi cambiamenti – e non in meglio – si sono registrati nel mondo in questi 20 anni, dall’avvento di un populismo di destra xenofobo e sovranista fino alla crisi globale provocata dal Covid, mentre è rimasta irrisolta la sfida decisiva: come unire le forze a livello internazionale per accrescere la capacità di lotta dei movimenti popolari.

UN COMPITO CHE IL FORUM Sociale Mondiale – per un certo tempo principale spazio di autoconvocazione della società civile a livello globale – non ha saputo svolgere, rivelandosi incapace di creare sinergie tra le diverse realtà e così accumulare forza sufficiente per creare un’egemonia alternativa.

Tanto più che il logorante dibattito interno tra chi ha sempre guardato al Forum unicamente come spazio aperto di diffusione di idee e di scambio di esperienze e chi avrebbe voluto trasformarlo in una forza unitaria in grado di assumere decisioni concrete ha finito per allontanare i movimenti popolari, a cominciare da Via Campesina, a favore delle ong internazionali.

E se il Fsm non è mai stato in grado di rivolgersi al mondo del precariato, dell’economia informale, dei giovani sottoproletari delle periferie delle grandi città, è rimasto anche assente – come sottolinea uno dei suoi fondatori, Roberto Savio, che ne invoca con forza il rinnovamento – da tutte le ultime grandi mobilitazioni, come quella contro il riscaldamento globale, il Me Too e il Black Lives Matter.

COSÌ QUELLO CHE UN TEMPO era l’anti-Davos, il contraltare del Forum Economico Mondiale, è scomparso dalle cronache, lasciando da solo sotto i riflettori l’incontro annuale delle élite capitaliste nella ridente cittadina delle Alpi svizzere (anch’esso svoltosi quest’anno per via virtuale). L’altro mondo possibile è insomma rimasto appena uno slogan e Davos ha battuto il Fsm «per goleada», secondo l’espressione del direttore del Centro Latinoamericano de Análisis Estratégico Aram Aharonian, mostrando quanto avesse ragione il miliardario Warren Buffet quando affermava che era in corso una guerra di classe e la sua classe la stava vincendo.

Eppure, in un quadro dominato, secondo gli organizzatori, «dall’aggravarsi dell’autoritarismo, del saccheggio e della repressione politica e sociale», il Forum Sociale Mondiale è ancora capace di un certo richiamo, se è vero che, come riferisce ancora Roberto Savio, si sono registrati quasi 23.500 accessi al sito del forum solo durante la giornata di apertura del 23 gennaio, caratterizzata da una marcia globale virtuale e da un dibattito sul «mondo che vogliamo oggi e domani», con la presenza della politica e scrittrice maliana Aminata Traoré, dell’indigena honduregna Miriam Miranda, dell’economista greco Yanis Varoufakis, della militante palestinese Leila Khaled, dell’ambientalista indiano Ashish Kothari e della rappresentante delle donne curde Melike Yasar.

E CON I SUOI 643 EVENTI, tra dibattiti e attività autogestite, il Fsm ha di certo rivelato una grande ricchezza di contenuti, suddivisi in sette categorie: pace e guerra; giustizia economica; educazione, comunicazione, cultura; femminismo, società, diversità; popoli originari e ancestrali; giustizia sociale e democratica; clima, ecologia e ambiente. Quello che manca, tuttavia, è ancora, come ha denunciato Varoufakis, «un piano comune». E «un’agenda anti-capitalista, anti-colonialista e anti-patriarcale» come quella invocata da Aharonian.