Tutti o quasi hanno applaudito alla sconfitta di Donald Trump. Sulla vittoria di Joe Biden invece i palestinesi nei Territori occupati sono divisi nelle analisi e nelle aspettative. La popolazione della Cisgiordania non si aspetta cambiamenti di rilievo dalla futura Amministrazione e si augura che riprendano i finanziamenti Usa ai progetti umanitari e all’agenzia dell’Onu per i profughi, l’Unrwa, sospesi da Trump. La gente di Gaza è disillusa: Biden non muoverà un passo per porre fine al blocco israeliano. Infine c’è l’Autorità nazionale palestinese (Anp) che festeggia in silenzio e domenica, con il presidente Abu Mazen prima e poi con il primo ministro Shttayeh, ha fatto sapere di essere pronta a rilanciare le relazioni con gli Stati uniti.

 

L’Anp ripone le sue speranze sulle scelte che farà il futuro presidente Usa, dopo quattro anni di scontri con Donald Trump schierato totalmente a sostegno delle rivendicazioni israeliane, a cominciare da Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico. Abu Mazen e il suo entourage si aggrappano alla promessa fatta dalla vicepresidente eletta Kamala Harris, in una recente intervista al The Arab American News, di rinnovo dei legami con i palestinesi e di opposizione alle mosse unilaterali israeliane. Harris ha parlato anche di riapertura del consolato Usa a Gerusalemme Est, un cioccolatino che dovrà addolcire la bocca dei palestinesi che non vedranno tornare, come vorrebbero, l’ambasciata americana a Tel Aviv. Biden peraltro è a favore della normalizzazione dei rapporti tra paesi arabi e Israele, contestata dai palestinesi.

 

Per la leadership palestinese i prossimi quattro anni, quelli in cui sarà in carica la nuova Amministrazione Usa, presenteranno sfide eccezionali. Non determinate soltanto dalle politiche di Israele accompagnate dai probabili silenzi di Washington. La più importante riguarderà proprio la sua presidenza. Il recente avvio di rapporti diplomatici pieni tra Emirati e Israele ha messo sotto pressione l’anziano Abu Mazen (84 anni), non solo per l’indebolimento della questione palestinese nel mondo arabo. Un ruolo nell’accordo di normalizzazione lo ha avuto proprio il suo rivale, cacciato dal partito Fatah, Mohammed Dahlan, in esilio dorato a Dubai, che sabato è stato il primo esponente palestinese a congratularsi con Biden. Nei Territori prevedono che Dahlan rafforzerà sensibilmente la sua base di consenso – sfruttando disoccupazione e miseria in aumento – grazie a finanziamenti dagli Emirati. Abu Dhabi certo vedrebbe con favore lui alla guida dell’Anp al posto di Abu Mazen che ha accusato la monarchia del Golfo di aver tradito i palestinesi. Nelle ultime settimane si sono intensificati arresti e misure punitive contro i pro-Dahlan – che si definiscono i riformisti di Fatah -, in particolare nel campo profughi di Amari (Ramallah) e in quello di Balata (Nablus) dove in una sparatoria è stato ucciso un ex  capo militare di Fatah, Hatem Abu Razek, unitosi di recente a campo avverso ad Abu Mazen.

 

«Dahlan al momento ha poche chance, non è stimato dalla popolazione – spiega l’analista Hamada Jaber -, tuttavia se Abu Mazen dovesse uscire di scena all’improvviso approfitterà del caos che provocheranno le ambizioni di noti esponenti di Fatah e giocherà le sue carte». Per questo, aggiunge Jaber, «il presidente dovrebbe avviare la transizione mentre è in carica, indicendo elezioni e seguendo quanto prevede lo statuto palestinese. In questo caso a Dahlan mancherebbe un terreno favorevole sul quale agire e le rivalità in Fatah si attenuerebbero. Temo che non ne abbia alcuna intenzione».