Mentre la Bbc decide di portare i suoi contenuti nel Dark Web per tutelare l’anonimato del proprio pubblico all’interno di paesi illiberali, in Italia di discute di identificare gli utenti del web.

Il dibattito, che pensavamo chiuso dopo le mobilitazioni degli anni scorsi contro la censura in rete, è ricominciato per la proposta di un parlamentare di Italia Viva.
Luigi Marattin, economista molto attivo sui social, a suo dire preoccupato per il dilagare dell’odio in rete, ha suggerito, parole sue, di rendere obbligatorio depositare un documento d’identità prima di aprire un profilo social «per impedire che il web rimanga la fogna che è diventato».

Purtroppo questa risposta a problemi reali, l’hate speech, le fake news, il cyberbullismo, è sbagliata.
Per vari motivi. Il primo è che molti odiatori in rete si presentano già con nome e cognome e non sarebbe un deterrente. Il secondo è che nessuno in rete è veramente anonimo e non c’è bisogno della carta d’identità per risalire ai dati anagrafici dei bulli in rete pure se hanno uno pseudonimo.

Per farlo occorrono tempo e risorse, riuscirci non è facile né immediato, ma si fa quando serve. Viceversa l’identificazione in massa degli utenti è un processo tecnicamente complesso e oneroso.

Il punto è qui che gli odiatori che spesso si presentano con nome e cognome in genere sono persone che semplicemente non sanno che un insulto, una minaccia espressa online, può essere perseguita come se fatta a scuola o al bar. I «flame», le liti in rete, inoltre, sono un elemento costitutivo della comunicazione virtuale: i social e i canali di chatting sono strumenti di dialogo veloce, dove si interagisce d’impulso. «Luoghi» dove l’assenza fisica dell’interlocutore fa venire meno il timore della rappresaglia e spesso anche il pudore, la vergogna e la cautela nell’esprimere opinioni estreme.

Eppure la questione è più ampia. Il web, o i social che ne rappresentano una parte, non è fatto solo di maleducati, odiatori, bulli, stalker, per i quali in realtà ci sono leggi anche severe che ne puniscono i comportamenti.

Il web usato in maniera anonima è anche il web dei dissidenti politici, dei profughi senza documenti, dei rifugiati, perseguitati nei loro paesi per essere omosessuali o avere evaso la leva obbligatoria.

E poi ci sono i cooperanti che vivono in zone di guerra, i blogger antimafia che non possono farsi riconoscere, ci sono i whistleblower, i citizen journalist e gli impiegati dei ministeri che devono giocoforza assumere identità fittizie per evitare ritorsioni a fronte delle loro denunce.

E ci sono soggetti fragili che per raccontare esperienze di abusi e maltrattamenti mai e poi mai vorrebbero presentarsi con nome e cognome.

Quindi la domanda è: per provare a spaventare gli odiatori in rete è giusto cancellare l’anonimato di chi grazie ad esso può esprimersi liberamente?

Senza anonimato cadrebbero nell’autocensura e nel conformismo preventivo. E saremmo stati noi a togliergli quella tanto faticosamente conquistata libertà di parola. Le catacombe parlamentari sono piene di disegni di legge per limitare la libertà d’opinione in rete. Ci eravamo abituati al fatto che fossero i parlamentari dell’Udc o di Forza Italia a presentarli.

All’epoca della televisione erano tentativi surrettizi di mantenere la società divisa tra chi ha potere di parola e chi no, come diceva Foucalt. Ma oggi? Dal canto nostro preferiremmo che tante energie venissero impiegate per educare le persone al rispetto degli altri e perché no, anche al rispetto delle leggi che ci sono, e sono già abbastanza.