Non è stato un titolo facile. E neppure, come raccontato da Sarri alla stampa, il più difficile nella storia del calcio italiano. Piuttosto, c’è stato più di un momento in cui era praticamente sfumato lo scudetto vinto matematicamente stasera dalla Juventus, il nono in fila, con il successo sulla Sampdoria (2-0). Il peso del Covid-19, i morti, i contagi, 100 giorni sul divano per gli atleti, tra cui alcuni, poi decisivi per il successo, come Dybala, colpiti dal Virus. E invece. Anzi, è stata l’assenza di calcio a ricompattare, tra difficoltà di gestione e affari di mercato non rivelatisi tali (Rabiot, Ramsey) a ricompattare i bianconeri vicini al deragliamento a febbraio, tra sconfitte e dissidi interni. Con Sarri sulla strada d’uscita. La Lazio era una minaccia, l’Inter lo era stato nel girone d’andata (14 successi e quattro pari), Ronaldo e compagni a disagio, intellettuale e fisico, con le leggi non scritte del Sarrismo. C’erano tracce di una possibile rivoluzione in corso, spente dal Virus, che obbligherà agli straordinari i club di A, con il prossimo campionato al via verso metà settembre, 40 giorni dopo l’ultimo triplice fischio finale del torneo in corso.
E DOPO LA SOSTA forzata il margine juventino su Inter, Lazio e la devastante Atalanta si è dilatato grazie alla coppia Dybala-Ronaldo, oltre 40 reti in due, nonostante reti subite e battute a vuoto non siano scomparse dal copione, di recente contro l’Udinese a tempo scaduto. Fino a stasera, al titolo, la matematica concessa nella gara con la Sampdoria, al timbro del portoghese. Dunque, vince Sarri. Primo trofeo in assoluto in Italia – lo scorso anno l’Europa League vinta con il Chelsea – dopo due finali di Coppa perdute e con un gol da recuperare al Lione negli ottavi di finale di Champions League. L’epopea sarrista, l’ex bancario che lascia l’ufficio per il campo, dalle serie minori alla vetta d’Italia, si compie nella sua stagione meno riuscita. Vince, certo e non è mai scontato ma con poche tracce di bellezza, armonia, automatismi, poesia in movimento ammirata nel triennio al Napoli e a tratti anche sulla panca del Chelsea, dove pure è entrato in contrasto con l’ambiente e società.

L’INTESA, di quelle naturali, che non trovano spiegazioni, con il microcosmo bianconero non è scattata. La sensazione è dell’incrocio di mondi poco comunicanti: poche concessioni dallo juventinismo, specie del tifo, al tecnico toscano, che si è ritrovato una rosa costruita forse male, con calciatori non adatta ai suoi principi. Sempre palla sui piedi, pochi movimenti. Ma la sua narrazione non ha avvolto Ronaldo e soci. Cambiare abito a una squadra, riscriverne i codici genetici, richiede più di una stagione, come insegna l’esperienza di Pep Guardiola al Manchester City, oppure Jurgen Klopp al Liverpool che ha dominato la Premier League. Eppure Sarri ha portato più volte Ronaldo al gol, rivalutato Dybala, reinventato Cuadrado, messo il detonatore a Bentancur. Tra meriti ed errori, non è detto che la dirigenza bianconera gli conceda una nuova chance. Certo, se vincesse la Champions…