Gli Snarky Puppy sono una sorta di anomalia del sistema musicale. Un collettivo che riunisce una ventina di artisti di gran talento, impegnatissimi come session man in sala di registrazione o turnisti sui palchi ad accompagnare stelle del jazz – Roy Hargrove, Kirk Franklin – ma anche del pop come Justin Timberlake e perfino l’insospettabile rapper Snoop Dog. Poi negli intervalli si ritrovano in studio per registrare album volutamente fuori da logiche commerciali, adorati da uno zoccolo duro ma decisamente folto di fan. Un talento riconosciuto dalla critica, che li ha premiati con un Grammy nel 2014 per la raccolta Family Dinner volume 1.

Michael League, che degli Snarky è il fondatore, parla della band e della loro dodicesima e recente produzione discografica, Immigrance, otto lunghi brani a rappresentare suoni e ritmi del mondo. La band arriva anche in Italia per cinque date: si parte da Grado l’11 luglio, in occasione dell’Udin&Jazz. L’indomani all’Anfiteatro romano di Avella per il Pomigliano Jazz; all’Arena Derthona di Tortona il 14; al Dromos Festival di Fordongianus il 18; a Perugia per Umbria Jazz il 19. 

Snarky Puppy è un ensemble multiculturale dai più disparati stili. Quali sono i vantaggi nell’operare fra artisti da gusti così eterogenei?
Siamo sempre stati sin dall’inizio una band che ha preferito abbracciare le differenze piuttosto che cercare di rendere tutto omogeneo. Le individualità dei singoli membri sono quelle che garantiscono l’unicità del nostro sound: ognuno proviene da esperienze diverse che portano all’interno della nostra musica una prospettiva sempre libera. Con il passar del tempo questa nostra capacità di esaltare le singole differenze si è ancora più accresciuta.

Il vostro ultimo disco, «Immigrance», è un inno alla mobilità delle popolazioni dell’intero pianeta. In una sua intervista recente afferma che «ogni cosa è fluida, ogni cosa è sempre in movimento. Siamo tutti in un costante stato di immigrazione». Un’idea agli antipodi delle politiche dei poteri forti: da Trump al nostro Salvini.
Tutti i membri del gruppo, senza alcuna esclusione, sono totalmente contro la retorica e la politica del presidente degli Stati uniti. È curioso poi che queste politiche di chiusura arrivino proprio dall’America, un continente composto – con l’eccezione dei nativi – da gente che è immigrata qui nel corso di 500 anni, molti addirittura negli ultimi 150. Trump, i cui stessi nonni erano immigrati, ha preso questa posizione perché sapeva l’avrebbe aiutato a convincere tanti elettori. Un personaggio senza tatto, un leader moralmente decrepito. È terribile vedere gente come Salvini prendere spunto dal suo stesso modus operandi.

Come valuta la situazione americana e in particolare come pensa che la politica di Trump influenzi il resto del mondo e con esso l’Europa?
C’è una sorta di «tribalità» in molti americani. Gli ultimi anni hanno provato come negli Stati uniti l’elettorato di Trump continui a supportarlo nonostante gaffe e affermazioni di pura demagogia. Un leader che regolarmente ha dimostrato le peggiori difetti dell’essere umano: disonestà, narcisismo, irresponsabilità, mancanza di lealtà, razzismo, sessismo e insicurezza. Lo votano perché in qualche modo si rispecchiano in lui e la cosa peggiore è che sono consci della sua amoralità, ma non gliene importa nulla. I supporter di Trump mettono l’immagine della «grande America» ben al di sopra degli scandali quotidiani e i pericolosi comportamenti del loro presidente. E come al solito, la paura è usata come arma, i capri espiatori sono scelti con metodo e demonizzati. In Italia sono gli immigrati, così anche in America insieme alla stampa e al partito democratico. Negli anni ’30 in Germania furono gli ebrei. E non sorprende che in America non ci sia supporto statistico alla propaganda contro gli immigrati. Ma questo conferma quanto ho detto: le persone sono molto meno preoccupate delle statistiche (e, di conseguenza, della verità) di quanto lo siano di sostenere la loro tribù, ciò che percepiscono come la loro identità. È la triste realtà.

Torniamo alla musica. Lei è il membro fondatore della band: come è nato il progetto Snarky?
Gli Snarky sono nati a Denton, nel Texas, dove tutti noi frequentavamo l’università. Io scrivevo musica in cui mescolavo jazz, pop e dio sa cos’altro e chiesi a nove miei amici di suonare con me ogni settimana. Poi tutto è cresciuto, anche perché io non ho mai amato le impostazioni del jazz moderno e il gruppo offriva l’opportunità di combinare ogni possibile elemento dei generi che amavamo singolarmente.

Le vostre composizioni sono il risultato di un lavoro collettivo.
In realtà il nostro processo di scrittura è molto diverso da quello che la gente pensa. Potremmo dire che scriviamo insieme, ma di fatto non è così. Chi compone una canzone lo fa in completa autonomia. E anche quando è arrangiata e prodotta, la melodia non varia: è sempre quella dell’autore originale. È la modalità di arrangiamento che crea il sound alla Snarky Puppy, perché lì il processo coinvolge tutti noi con le proprie individualità e personalità.

La vostra musica è un mix di stili anche difficilmente assimilabili. Come riuscite a mantenere una così grande libertà creativa?
Il segreto penso sia… il tempo. Abbiamo tenuto oltre 2 mila concerti, con così grande esperienza si sviluppa un’alchimia totale, sai già cosa può funzionare e cosa no. Così riusciamo a combinare differenti elementi musicali e farli suonare in maniera originale.