L’anima divisa della cattedrale
Intervista Un incontro con la storica parigina Mathilde Larrère. «Al ritmo di relazioni sempre più conflittuali tra lo stato rivoluzionario e la Chiesa cattolica, Notre-Dame si trasforma. All’inizio, i rapporti tra clero e rivoluzionari erano cordiali. Poi le cose cambiarono, ma l’edificio era già molto danneggiato per mancanza di riparazioni»
Intervista Un incontro con la storica parigina Mathilde Larrère. «Al ritmo di relazioni sempre più conflittuali tra lo stato rivoluzionario e la Chiesa cattolica, Notre-Dame si trasforma. All’inizio, i rapporti tra clero e rivoluzionari erano cordiali. Poi le cose cambiarono, ma l’edificio era già molto danneggiato per mancanza di riparazioni»
La storica parigina Mathilde Larrère, studiosa delle Rivoluzioni e in particolare di quella francese (fra i suoi ultimi libri, L’histoire comme émancipation, scritto con Laurence De Cock, Agone éditeur), in seguito all’incendio che ha devastato parte della cattedrale di Notre-Dame, risponde in merito ai contraccolpi emotivi e alla portata simbolica, in termini di vulnerabilità, di quanto è avvenuto la sera del 15 aprile, in una drammatica diretta mondiale.
Per le parigine e i parigini la cattedrale di Notre-Dame si lega alla città stessa, dalle sue fondamenta di tempio pagano dedicato a Giove fino a rappresentare uno dei simboli della cristianità. Immutabile quindi solo apparentemente. Cosa può comportare la presa di coscienza della «mutabilità storica» e insieme quella della vulnerabilità di un luogo?
Penso che per tutti, parigine o parigini, la cattedrale rappresenti qualcosa di diverso. Credo che tutti conoscano solo un pezzo della sua storia, e neanche lo stesso pezzo, secondo la propria cultura familiare o secondo il proprio percorso scolastico. Molti, inoltre, scoprono questa storia solamente oggi. Per alcuni Notre-Dame è un edificio religioso, per altri un monumento parigino; alcuni certo ne sanno un po’ di più.
È comunque chiaro che la cattedrale è una parte del nostro patrimonio. Essa incarna una fierezza tutta speciale di fronte alla (sua) bellezza. Notre-Dame è anche un luogo che si vede regolarmente mentre si passeggia per recarsi altrove; è un luogo che certo abbiamo visitato, ma che fa parte anche del paesaggio, è un luogo emblematico, un «lì», un necessariamente lì. È proprio questa dimensione del necessario che ora sta mettendo in risalto il vuoto di ciò che si è perso. È questa prova del «lì» che è stata amputata. Non esito a dire che si può essere atei e sconvolti. Bisogna considerare poi che ci sono anche quelle e quelli che dicono di non provare granché a tal riguardo, è un loro diritto. Vorrei sottolineare che quest’ultima non è una posizione facile perché le «ingiunzioni alla commozione» in questi giorni sono forti.
È certamente vero che quanto accaduto abbia generato un senso diffuso di vulnerabilità. Un senso di possibile perdita che è difficile da concepire per un monumento così antico, tanto difficile quanto più si sono dimenticate le sue numerose stratificazioni: le vecchie distruzioni e i nuovi rifacimenti. Credo infine, dati i tempi complessi che stiamo attraversando, che si sia generato un «effetto specchio» che ognuno deve aver percepito di fronte alla propria vulnerabilità.
Nonostante l’odierno carattere cultuale della cattedrale, Notre-Dame non è sempre stata solo questo. In particolare può raccontarci cosa avvenne durante la Rivoluzione francese?
4 maggio 1789, Veni Creator per l’apertura degli Stati Generali, 10 aprile 1802, Te Deum un anno dopo la firma del Concordato tra Napoleone e papa Pio VII: la storia di Notre-Dame durante la rivoluzione s’inscrive fra queste due date, queste due messe. Al ritmo di relazioni sempre più conflittuali tra lo stato rivoluzionario e la Chiesa cattolica, Notre-Dame conosce, per non dire subisce, delle trasformazioni. All’inizio, i rapporti tra clero e rivoluzionari erano cordiali. Poi le cose cambiarono. Bisogna considerare che l’edificio era già molto danneggiato per mancanza di riparazioni e che l’arcivescovo, accusato di affamare il popolo di Parigi, emigrò nel settembre del 1789, come una buona parte dell’alto clero aristocratico. Bisogna aggiungere che Notre-Dame soffriva finanziariamente della nazionalizzazione della proprietà del clero, decretata nel novembre dello stesso anno. Con la Costituzione civile del clero (novembre 1790), il clero, ormai eletto, si trasferì a Notre-Dame: Jean-Baptiste Gobel, vescovo, consentì che nella cattedrale si svolgessero delle cerimonie scristianizzate (ma popolari) in onore alla dea Libertà. Nel clima anticlericale che cominciò a diffondersi nel 1792 e nel contesto di una guerra che comportava il recupero dei metalli, gli oggetti liturgici vennero fusi. Nel 1793, Gobel diede alla Convenzione la sua croce, il suo anello… ed è proprio in quel momento che Notre-Dame venne ribattezzata «Tempio della ragione», mentre la Commune di Parigi proibì il culto cattolico nella capitale. Notre-Dame, allora in disuso, divenne un magazzino di vini. Sotto il Direttorio poi, la Chiesa venne restituita al clero costituzionale. La cattedrale era in pessime condizioni, ma il culto riprese. Il Concordato firmato nel 1801 consentì al clero di trovare sussidi e organizzazione, ma l’edificio rimase danneggiato: è noto che, per la sua incoronazione, Napoleone nasconderà i degradi della cattedrale con delle decorazioni in legno dipinto.
Il grande incendio che ha distrutto una parte rilevante della cattedrale ha dato luogo a reazioni di cordoglio. Ma non si tratta solo di constatare le ferite su un corpo di legno e pietra. Al di là delle questioni identitarie, sono emerse reazioni che guardano all’umano e alle sue opere secondo una relazione di contiguità. Cosa può dire a tal proposito?
Credo che dalla notte dell’incendio siamo davvero in preda a un’emozione collettiva, nella quale si stanno confondendo stordimento, tristezza e anche incomprensione. L’emozione pertiene al registro dell’irrazionale. In questo momento trovo davvero difficile ogni processo di razionalizzazione.
È necessario certo evitare che le emozioni alimentino le cosiddette «passioni tristi»; è altresì necessario combattere qualsiasi manipolazione politica per evitare di cadere nella trappola tesa dal potere: questa trappola ha la forma di una posticcia unione nazionale funzionale a mascherare quei conflitti che non hanno nulla a che fare con il fatto che possiamo effettivamente condividere o meno, nella tristezza di un monumento distrutto.
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