Nicola Nociforo: «Il ritrovamento del corpo dilaniato di un bimbo nel bosco in cui era stato portato dalla madre nel mese di agosto, mi ha fatto pensare ai corpi dilaniati di ogni guerra, o sciolti nell’acido della violenza mafiosa, o dispersi nel Mediterraneo nei terribili attraversamenti della speranza. C’è un filo conduttore tra questi immani segni della tragedia umana? I bambini e le bambine, le donne e gli uomini i cui corpi smembrati e insepolti giacciono nel fondo o sulla superficie dei nostri mari, cercavano rifugio dalle guerre e dalle tirannie, dai morsi dilanianti della fame. Esistono sempre più luoghi del mondo, e nel nostro mondo interiore, in cui ancora ogni bambino (ogni essere umano) rischia di essere come Astianatte, strappato dalle braccia della madre Andromaca (dalle proprie radici) e scaraventato giù dalle torri di Troia. Oppure, immaginando una variante del mito, scaraventato giù dalle stessa madre terrorizzata.

C’è un collegamento tra i genitori che mettono a repentaglio la vita dei propri figli, attraversando il Mediterraneo alla ricerca di una possibile salvezza, e Viviana, la tragica madre di Venetico, paesino messinese di fronte all’arcipelago delle Eolie, che si è inoltrata disperata con il figlio nel nulla, scappando dai confini di una realtà da cui si sentiva estraniata. Mi chiedo se Viviana non abbia inconsapevolmente messo in atto un tentativo estremo, patologico di salvezza da qualche forma di attacco, di bombardamento o di guerra, in un luogo in cui queste forme di violenza sembrano non esserci. Credo che fosse sotto l’effetto di una delle forme subdole e non immediatamente visibili di attacco ai bambini e al pensiero nella società contemporanea: l’angoscia del contagio. Quello delle pandemie è un problema reale del mondo contemporaneo, ma l’angoscia del contagio, è una forma di pandemia psichica altrettanto reale e forse ancora più subdola e pericolosa. L’angoscia del contagio, ancora prima del Covid, è un problema importante della società globale contemporanea».

Sarantis Thanopulos: «Hai ragione, l’angoscia del contagio è molto presente nella società contemporanea e ha effetti strutturanti sulla psicologia collettiva. È prodotta, principalmente, dall’effetto combinato di due fattori che sono strettamente associati. Il primo è l’estrema ineguaglianza delle relazioni di scambio all’interno dei singoli paesi, tra paesi diversi e via via in ogni sfera dei legami e delle comunicazioni umane. Il secondo è la repressione del desiderio femminile, in contrasto con le conquiste delle donne sul piano dei diritti civili (recintate per lo più nella ristretta area dei paesi occidentali). La repressione è spesso nascosta da una sessualità indifferenziata, improntata alla sequenza eccitazione-scarica, che dà alle donne la “libertà”, una schiavitù invisibile, di imitare gli stereotipi difensivi maschili. Ineguaglianza e repressione creano guerre, tirannie, esodi di massa. La frigidità sessuale che colpisce forti e deboli produce uno sradicamento erotico di uomini e donne e rende ingestibile nel nostro mondo interno (di indigeni o migranti) la realtà di un mondo in perenne trasmigrazione.

Eros e migrazione sono inseparabili: desiderando, migriamo. Quando questo legame si interrompe, il desiderio è percepito come “infezione” e l’altro (“concittadino” o “straniero” che sia) diventa un potenziale “untore”. Cosa ha determinato il nostro modo “remoto” di vivere se non l’angoscia del contagio psichico (erotico) che ci ha reso più vulnerabili alla pandemia e ha trovato in essa una sua legittimazione? Le donne, nonostante la repressione, sentono molto più degli uomini la desertificazione erotica della nostra vita. L’attrazione del vuoto può diventare una fatale via di riscatto e caderci dentro insieme al figlio, sognando di volare, è una via di fuga irrazionale, magica, ma anche un grido umano non ascoltato».