Uno degli elementi che caratterizzano il sapere filosofico è che ogni suo specifico problema riflette tutti gli altri. La percezione è un argomento particolarmente adatto a comprendere la profonda unità della filosofia poiché «la percezione non ci “parla” mai solo dell’oggetto visto o toccato, ma ci dice sempre anche qualcosa del soggetto percipiente, del modo in cui sta al mondo come singolo individuo, e come esponente della specie umana» (Vincenzo Bochicchio, Percezione, Guida, pp. 228, euro 13). Indagare l’enigma della percezione significa dunque conoscere meglio l’umano e il «suo modo di stare al mondo».

Merito principale del libro di Bochicchio è aver restituito per intero la storia della percezione in quanto snodo e sintesi della storia filosofica europea, senza tuttavia limitarsi a una prospettiva storiografica ma entrando anche con grande attenzione e chiarezza nei gangli teoretici del problema. Percepire è un’azione che si rivolge chiaramente a qualcosa che sembra stare al di là di colui che sta percependo, ed è proprio nel contatto di una mente che osserva con un frammento di mondo osservato che si costituisce la differenza tra ciò che chiamiamo mente e ciò che definiamo mondo. Una differenza che tuttavia non è pensabile senza uno rapporto strettissimo, inscindibile, tra mente e mondo. Come è possibile che l’infinita ricchezza della materia venga percepita, conosciuta, vissuta da una sua parte, la mente?

Il fondamento della risposta di Bochicchio è che la ricchezza dell’indagine sulla percezione non dipenda dalle diverse soluzioni che sono state date ma dal modo in cui la domanda è stata posta. La grande varietà delle spiegazioni – dai primi pensatori greci sino alle raffinate analisi contemporanee – è riassumibile in tre paradigmi: il referenzialismo, il costruttivismo, la fenomenologia.

La materia del cosmo

Il modello della referenza si basa sul realismo, sulla convinzione che il mondo sia là – indipendente da chi guarda – e che il compito della filosofia consista nel comprendere come questo mondo esterno si rifletta nelle strutture interne dell’essere umano, nella sua psyche. La separazione tra il «corpo» e l’«anima» rende però tale legame oscuro e quasi miracoloso. All’interno del paradigma referenzialistico si è tentato in molti modi di attenuare tale inspiegabilità.

Gli atomisti, Empedocle, Eraclito sono ad esempio accomunati dalla consapevolezza che la psyche «sia fatta della stessa materia del cosmo e che conosca percependo, cioè riferendosi al cosmo». In generale, tutta la filosofia greca è permeata da un chiaro riconoscimento dell’esistenza oggettiva della materia, che la psyche percepisce e comprende in una varietà di modi.

Il paradigma referenzialistico giunge al suo culmine e insieme alla sua crisi con Descartes, per il quale la percezione stessa non è altro che un pensiero, un’alterazione che avviene dentro l’anima sulla base di input che provengono dall’esterno. È l’anima che sente, non il corpo. Ma «il dualismo ontologico fra res cogitans e res extensa, e la natura rappresentativa delle sensazioni rendono la referenza un “fatto” misterioso, difficile da concepire e spiegare».

Un paradigma davvero alternativo appare con Hume, viene argomentato nella forma più innovativa e radicale da Kant, arriva sino alla fisiologia del Novecento. Si tratta dell’idea che la percezione non consista nel riflesso di un mondo già dato ma nella costruzione di questo mondo da parte degli apparati percettivi. Se un oggetto mi appare costante nelle sue misure, nonostante lo veda più grande quando mi avvicino e più piccolo se mi allontano; se al di là del movimento delle fiamme io vedo sempre lo stesso e unico falò è perché la costanza e la coerenza del mondo sono strutture che non appartengono al mondo ma a me che sto percependo. Si tratta del paradigma costruttivista, ben espresso dal neuropsicologo John Pinel, il quale sostiene che «il sistema visivo non dà origine a fedeli riproduzioni interne del mondo esterno. Il sistema visivo crea una percezione tridimensionale, accurata e ricca di dettagli, e, per certi versi, anche migliore della realtà esterna da cui deriva».

Sguardi laterali

Husserl va oltre e si chiede: «Quando diciamo di vedere, di percepire, una “casa”, cosa percepiamo effettivamente? Cosa ci è dato nella percezione? Della casa come contenuto intenzionale, al nostro sguardo si manifesta o si presenta solo una certa porzione. È impossibile percepire l’oggetto con uno sguardo panottico o onnilaterale: la nostra percezione è sempre, irrimediabilmente, unilaterale e prospettica». È una svolta fondamentale poiché fa comprendere che mente e materia costituiscono una sola e unica realtà. Ciò permette al corpo/mente di installarsi nel resto del mondo materiale e in esso conoscere, vivere, percepire, muoversi.

E con il movimento si arriva alla comprensione della struttura temporale della percezione. Il costruzionismo di Kant diventa lo sguardo fenomenologico e quindi temporale di Husserl, per il quale «la cosa percepita si costituisce in una struttura schiettamente temporale, perché la manifestazione autentica attuale inevitabilmente richiama quella che ho percepito poc’anzi, e in qualche modo mi prospetta anche quella che percepirò subito dopo, nella forma dell’”attesa”».

Se l’indagine sulla percezione è parte fondamentale della filosofia, e non soltanto della fisiologia del corpo umano, è perché con essa si giunge a comprendere la struttura temporale del mondo così come appare al nostro corpo/mente.