Restaurato, convertito in 3D e per la prima volta sul grande schermo al Festival di Venezia, Thriller di Michael Jackson è – con le parole del co-esecutore del patrimonio del musicista scomparso, John Branca, «Uno dei video musicali – e dei balli – più iconici di tutti i tempi». Ad accompagnarlo a Venezia c’è il suo regista, John Landis, e un documentario di Jerry Kramer, The Making of Michael Jackson’s Thriller, che ripercorre in dettaglio il lavoro dietro le quinte del video musicale del 1983.
«Quando mi hanno proposto di restaurare e convertire Thriller in 3D – dice Landis – non vedevo il videoclip da 25 anni, ma il mio sogno, e quello di Michael, era sempre stato di proiettarlo al cinema». Tutto è cominciato quando Thriller, il disco di Jackson, era uscito ormai da un po’: realizzare il video della title-track non era quindi una mossa commerciale, dato che l’album già deteneva il record di vendite di tutti i tempi e ne erano già stati tratti due video, Beat It e Billy Jean, mentre quest’ultimo aveva anche cambiato per sempre la storia della televisione. «MTV all’epoca non trasmetteva per regolamento video di artisti neri – ricorda Landis – è stato il videoclip di Billy Jean a rivoluzionare tutto: inizialmente MTV rifiutò di mandarlo in onda, ma diventò presto il video più richiesto nella storia dell’emittente».
Per Jackson quindi il cortometraggio di Thriller era, con le parole di John Landis, un «vanity project»: «Gli era piaciuto molto Un lupo mannaro americano a Londra, specialmente la scena della trasformazione del protagonista, e voleva anche lui essere tramutato in un mostro». Così, mentre il regista dei Blues Brothers era a Londra, Jackson lo chiamò nel cuore della notte per proporgli un video musicale in chiave horror per la sua canzone: «La scelta ricadde sugli zombi perché in questo modo il trucco non avrebbe ostacolato i movimenti del ballo». Sul set, ricorda ancora il regista, il ventiquattrenne Michael Jackson era entusiasta e dedito a far si che ogni cosa venisse fatta al meglio. «Era già un professionista, un performer dall’età di due anni. Non ha mai avuto un’infanzia, che è poi il motivo per cui ha cercato di viverne una in età adulta».
Dopo Thriller infatti il regista e Jackson sono rimasti a stretto contatto – «veniva a casa mia, guardavamo insieme i cartoni animati» racconta Landis – e nonostante un diverbio finanziario dovuto proprio al compenso per Thriller hanno di nuovo lavorato insieme, quasi dieci anni dopo, al video di Black or White. «Le cose però erano cambiate: per Thriller Michael si era affidato completamente a me, alle mie scelte da regista. Quando abbiamo fatto Black or White era chiaro che ero io a lavorare per lui. Era più sulla difensiva, ma è comprensibile: non è semplice essere l’uomo più famoso del mondo». Per questo, spiega Landis, la cosa più bella del documentario su Thriller è che «consente di vedere com’era Michael a quei tempi: gioioso e entusiasta».