Restaurato, convertito in 3D e per la prima volta sul grande schermo al Festival di Venezia, Thriller di Michael Jackson è – con le parole del co-esecutore del patrimonio del musicista scomparso, John Branca, «Uno dei video musicali – e dei balli – più iconici di tutti i tempi». Ad accompagnarlo a Venezia c’è il suo regista, John Landis, e un documentario di Jerry Kramer, The Making of Michael Jackson’s Thriller, che ripercorre in dettaglio il lavoro dietro le quinte del video musicale del 1983.

«Quando mi hanno proposto di restaurare e convertire Thriller in 3D – dice Landis – non vedevo il videoclip da 25 anni, ma il mio sogno, e quello di Michael, era sempre stato di proiettarlo al cinema». Tutto è cominciato quando Thriller, il disco di Jackson, era uscito ormai da un po’: realizzare il video della title-track non era quindi una mossa commerciale, dato che l’album già deteneva il record di vendite di tutti i tempi e ne erano già stati tratti due video, Beat It e Billy Jean, mentre quest’ultimo aveva anche cambiato per sempre la storia della televisione. «MTV all’epoca non trasmetteva per regolamento video di artisti neri – ricorda Landis – è stato il videoclip di Billy Jean a rivoluzionare tutto: inizialmente MTV rifiutò di mandarlo in onda, ma diventò presto il video più richiesto nella storia dell’emittente».

Gian Mattia D'Alberto / lapresse 30-08-2017 Venezia  spettacolo 74. Mostra internazionale d'arte cinematografica nella foto: John Landis Gian Mattia D'Alberto / lapresse 2017-08-30 Budapest 74th International Venice filmefestival in the photo: John Landis

Per Jackson quindi il cortometraggio di Thriller era, con le parole di John Landis, un «vanity project»: «Gli era piaciuto molto Un lupo mannaro americano a Londra, specialmente la scena della trasformazione del protagonista, e voleva anche lui essere tramutato in un mostro». Così, mentre il regista dei Blues Brothers era a Londra, Jackson lo chiamò nel cuore della notte per proporgli un video musicale in chiave horror per la sua canzone: «La scelta ricadde sugli zombi perché in questo modo il trucco non avrebbe ostacolato i movimenti del ballo». Sul set, ricorda ancora il regista, il ventiquattrenne Michael Jackson era entusiasta e dedito a far si che ogni cosa venisse fatta al meglio. «Era già un professionista, un performer dall’età di due anni. Non ha mai avuto un’infanzia, che è poi il motivo per cui ha cercato di viverne una in età adulta».

Dopo Thriller infatti il regista e Jackson sono rimasti a stretto contatto – «veniva a casa mia, guardavamo insieme i cartoni animati» racconta Landis – e nonostante un diverbio finanziario dovuto proprio al compenso per Thriller hanno di nuovo lavorato insieme, quasi dieci anni dopo, al video di Black or White. «Le cose però erano cambiate: per Thriller Michael si era affidato completamente a me, alle mie scelte da regista. Quando abbiamo fatto Black or White era chiaro che ero io a lavorare per lui. Era più sulla difensiva, ma è comprensibile: non è semplice essere l’uomo più famoso del mondo». Per questo, spiega Landis, la cosa più bella del documentario su Thriller è che «consente di vedere com’era Michael a quei tempi: gioioso e entusiasta».