Landini: «Non serve più giocare in difesa»
Intervista «Lavoro e diritti: c’è rimasto poco, la Costituzione è un terreno di cambiamento. Riunire la sinistra? Puntiamo più in alto. Occupazioni? Può darsi. Non accompagneremo la chiusura degli stabilimenti»
Intervista «Lavoro e diritti: c’è rimasto poco, la Costituzione è un terreno di cambiamento. Riunire la sinistra? Puntiamo più in alto. Occupazioni? Può darsi. Non accompagneremo la chiusura degli stabilimenti»
Landini, in queste ore il governo Letta resta appeso agli umori del Pdl e di Berlusconi. Vista dal segretario della Fiom, questa situazione che contorni ha?
Un governo è utile se difende il lavoro e crea nuovi posti di lavoro. Se non è in grado, non serve ai lavoratori.
Sta dicendo che il governo Letta non deve andare avanti se non ha un’agenda utile a produrre posti di lavoro? Che dovrebbe fare?
Faccio alcuni esempi: penso che in questa fase dovrebbe rifinanziare i contratti di solidarietà. E chi fa i contratti di solidarietà, cioè non licenzia, o ridistribuisce l’orario di lavoro per fare nuove assunzioni, deve avere sgravi consistenti. Dovrebbe ridarsi una prospettiva di politica industriale sui settori strategici, fare una legge sulla rappresentanza e cancellare l’articolo 8 della legge Sacconi, agire fisco, ripensare le pensioni, gli ammortizzatori sociali e sostenere il reddito di chi perde il lavoro, chi non ce l’ha, e ai giovani precari. Se il governo prosegue sulla linea di galleggiamento non serve. Anche perché il governo Berlusconi prima e il governo Monti poi hanno fatto pagare la crisi ai lavoratori. Non a caso siamo in presenza di un aumento della disoccupazione e di un peggioramento delle condizioni di lavoro. Se non c’è una ripresa degli investimenti pubblici e privati e se non si agisce sulla redistribuzione della ricchezza, non se ne viene fuori. E ad oggi, al di là degli annunci, siamo di fronte ad un governo che nei fatti resta bloccato. Basti vedere il ricatto del Pdl sull’Imu.
Se restasse questa maggioranza, gli equilibri politici – e i provvedimenti possibili – non sarebbero quelli che lei ha elencato.
Sono a rischio migliaia di posti di lavoro. Se penso al caso della Fiat, che ora sta facendo discutere ma che non è l’unico purtroppo, il governo non è stato capace di far applicare le sentenze della Corte alla Fiat. Il più grande gruppo industriale italiano continua indisturbato a diminuire il suo peso nel paese e a non rispettarne le leggi.
Lei ha detto: non siamo disponibili a firmare accordi che prevedano la chiusura delle fabbriche, siamo pronti a gesti di difesa totale, anche le occupazioni. Che significa in concreto?
Molti parlano di ripresa, ma segnali non si vedono. Invece si vedono aziende che usano le ferie per delocalizzare le produzioni, oppure grandi imprese che anziché fare investimenti dicono che hanno bisogno di delocalizzare o chiudere. Non è più accettabile. Oggi ogni posto di lavoro perso, ogni stabilimento chiuso in questa fase è perso per sempre. E allora non siamo disponibili ad accompagnare un processo di riduzione dell’occupazione e della politica industria. E per questo, naturalmente discutendo con i lavoratori, penso che non possiamo discutere nulla. Altrimenti quello che è perso e perso. E abbiamo già perso anche troppo.
Ha in mente casi concreti?
Penso a Fiat. Se non ci sono soluzioni, a fine anno Irisbus e Termini Imerese chiudono. A Mirafiori non hanno risolto il problema degli investimenti. A Cassino non si sa quello che succede. Nel settore siderurgico, non è chiara la prospettiva a Terni, a Piombino. Così nel settore dell’elettrodomestico. Non c’è un tavolo su Finmeccanica. Parlando del settore metalmeccanico, che va dalle acciaierie all’informativa, e quindi il sistema industriale del paese, i prossimi mesi sono decisivi. Siccome la politica industriale riguarda il governo ma anche le imprese, non siamo disponibili ad accompagnare le chiusure. Non sono problemi semplici, ma non possono essere solo problemi dei lavoratori. Il vuoto della politica permette alle imprese di muoversi così. Quando diciamo che bisogna attuare la Costituzione, oltre a un lavoro con diritti diciamo anche che c’è bisogno di un intervento pubblico e che le imprese siano richiamate a una responsabilità sociale, come dice la nostra Carta.
In nome della Costituzione, la ‘via maestra’, il 12 ottobre metterete insieme la sinistra?
Abbiamo un’ambizione più grande. C’è chi pensa che per uscire dalla crisi bisogna mettere in discussione la Costituzione. Lo pensa la Fiat, lo pensa J.P.Morgan quando dice che in Europa bisognerebbe cancellare le Costituzioni, lo pensa Berlusconi e una parte dei suoi. Noi vogliamo affermare un’altra idea: lavoro, democrazia, legalità e pace sono oggi un terreno di cambiamento. Applicare la Costituzione sarebbe rivoluzionario. Non ci rivolgiamo solo alla sinistra, ma a tutte le persone, movimenti e soggetti che pensano che i principi costituzionali sono la base per la riforma e il cambiamento di questo paese. È tutt’altro che la difesa dell’esistente: in un paese in cui c’è questo livello di disoccupazione e precarietà, chi lavora è povero, in cui si cancellano le pensioni, c’è poco da difendere. Se questo processo offre un terreno di ricomposizione alle sinistre, questo è problema delle forze politiche.
Da sinistra vengono molte critiche al Pd che partecipa degli strappi costituzionali che denunciate. Lei dice: non escludiamo nessuno. Che significa?
Il governo delle larghe intese non è stato votato da nessuno. In più questo parlamento è stato eletto con una legge che la Corte considera incostituzionale. È un paradosso che ora pensi di cambiare la Costituzione. Questo rischia di portare a un corto circuito democratico e aumentare la disaffezione dei cittadini. Quindi mi rivolgo alle tante persone che non si sentono rappresentate, la maggioranza di questo paese. Qualsiasi progetto politico e sociale, se non si fonda sulla partecipazione, non va da nessuna parte. Paghiamo il fatto che in questi ultimi vent’anni la cultura del leaderismo ha preso il posto di una partecipazione più diffusa, e ora i poteri forti e le lobby hanno molta più forza della rappresentanza democratica. Vogliamo costruire partecipazione, sarebbe sciocco se nel fare questo discorso ci mettessimo ad escludere qualcuno.
Quando parla di culturale del leaderismo oggi pensa a Renzi?
No, non personalizzo. Le primarie sono state uno strumento utile, ma abbiamo visto che non risolvono il problema della partecipazione. Vent’anni fa si discuteva di riformare il sistema politico per avere meno partiti e più partecipazione. Oggi c’è una frantumazione dei partiti e un calo della partecipazione. E siamo messi così perché abbiamo lasciato fare al mercato, abbiamo calpestato la Costituzione e fatto carne di porco dei diritti.
Ci sono tre congressi in autunno. Quello del Pd, di Sel e del Prc. Si discute di questi temi?
Il congresso cui sono più interessato è quello della Cgil. E la crisi della rappresentanza riguarda anche i sindacati e gli imprenditori. La maggior parte dei precari non è iscritta ai sindacati. Se si discute di reddito di cittadinanza, è un esempio, debbo trovare il modo di parlare con milioni di giovani precari. Con l’obiettivo di farli iscrivere, certo. Quanto ai partiti, abbiamo scelto di non dare loro parola sul palco del 12 ottobre. Ma chi fa politica deve dire come la pensa.
Non farete parlare i partiti dal palco perché le divisioni della sinistra rischiano di essere un inciampo alla partecipazione?
È una mobilitazione civile, ci siamo rivolti alle associazioni e ai movimenti che in questi anni, hanno posto questi problemi. E non vogliamo essere utilizzati dai partiti.
C’è sempre chi dice che Landini ha obiettivi politici.
Non ho mire politiche personali, dovrebbe ormai essere noto. Il mio obiettivo è fare al meglio il segretario della Fiom. E per fare bene il sindacato, la Fiom e la Cgil fanno politica, cioè provano a cambiare il modello sociale. Perché, la Fiat non fa politica? Anche molto meglio di noi, visto che si fanno fare le leggi che le servono.
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