L’orizzonte è dato dalle delicate dita delle donne cinesi che ballano dentro piante di mirtillo e lamponi, cogliendo succosi frutti senza schiacciarli a velocità inimmaginabile.

Il mercato anglosassone impazzisce per i mirtilli del saluzzese: ne vuole camion, container, navi, e mai sazio ingurgita tutto senza fiatare sul prezzo. Mirtilli e lamponi avanzano, sostituendo le mele che in Polonia vengono prodotte a un terzo del costo italiano, i kiwi che pretendono sempre più acqua, le pere passate di moda, e soprattutto le gloriose pesche flagellate da parassiti ormai semi invincibili.

LE PICCOLE DONNE CINESI che non si stancano mai vivono nei campi mentre gli uomini trottano all’interno dei capannoni frigorifero in cui vengono stoccati muri di frutta alti come palazzi. Cattedrali di cemento dove si lavora a quattro gradi mentre fuori si boccheggia a quaranta.
Fantasmi che arrivano dalle cave di Barge – zona di cave di pietra di Luserna – territorio colonizzato totalmente dai cinesi che ora cercano uno sfogo alla loro saturazione economica e demografica, scendendo dalle valli alpine del cuneese verso i campi di frutta che nel tempo hanno ricoperto la pianura di banche, chiese e castelli.

Questo il futuro che si affaccia.

Il presente invece è nero.

I soliti tragici cartoni, i soliti tetti di plastica, fuocherelli accesi con legnetti su cui ribollono pentole di verdure e cosce di pollo, la legna stoccata. Lo sciamare silenzioso di centinaia di biciclette.

Quando arrivi nel viale che porta all’ex foro boario di Saluzzo ci si trova di fronte all’apparente ritorno del sempre uguale. Quando lunedì scorso giunge Aboubakar Somahoro, il sindacalista Usb, in un attimo si viene scaraventati dentro una scena di Novecento di Bertolucci: cento statuari braccianti africani si alzano dai loro cenciosi giacigli e formano un cerchio intorno al nero che parla ai neri, il nero che in francese e in bambarà pianta giù un comizio da pelle d’oca esponendo agli occhi di tutti le dita della mano che si chiudono in un pugno chiuso. E quelli ascoltano silenti, gli occhi sbarrati di chi si riconosce a ogni alzata di tono.

NEL 2017 LA CARITAS di Saluzzo decise che la misura era colma, e tolse il suo sostegno logistico ed economico al sistema che gestiva una baraccopoli che non meritava alcun presente e men che meno alcun futuro. E quel che doveva succedere sarebbe successo. Un sistema nato nel 2011 con l’arrivo dei primi braccianti africani alla stazione di Saluzzo, poi diventati centinaia e poi migliaia negli anni seguenti: uomini che vagavano dopo dieci ore di lavoro nei campi, il paese impaurito e fomentato dai soliti, gli imprenditori che volevano quella manodopera forte e docile ma rifiutavano di farli dormire nelle loro aziende. Nel 2018 il Regione Piemonte, Consorzio Monviso Solidale, Caritas, Cgil e Cisl, fondazioni bancarie e aziende decidono di affrontare la situazione – chi sul piano finanziario chi su quello logistico amministrativo – e aprono una ex caserma. Il giorno dell’apertura sotto la pioggia che cade furibonda gli africani fronteggiano un battaglione del reparto mobile. Vogliono entrare tutti. Qualcuno alza una pietra, i poliziotti alzano i manganelli e gli scudi, tutto si ferma un attimo prima della catastrofe. Il posto c’è per chi ha un contratto in mano, quelli in cerca di lavoro devono aspettare. Invece entrano tutti e poi quelli senza contratto escono quando il cielo si rasserena.

IL CAMPO VIVE SEI MESI, al termine dei quali l’acciaio dei fornelletti usati per cucinare è fuso. È una città nella città, che chiude le porte da mezzanotte alle quattro del mattino. Il vecchio filo spinato viene rimosso, ma una inutile e sgradevole parte resiste ancora oggi, nasce un mini market e una piccolo luogo di culto, e il tutto prende vagamente la forma di un caravanserraglio.

Quando arriva Somahoro è il giorno precedente all’apertura del 2019, dall’interno della struttura viene ascoltato dai mediatori culturali che vi lavoreranno nei prossimi mesi: tutti patiscono le dure parole del sindacalista Usb.

Sotto un sole che cuoce il giovane mediatore della Cgil ha la fronte imperlata di sudore: si dice «felice di quello che fa, molto emozionato e orgoglioso», e così gli altri giovani e meno giovani che passeranno l’estate nel campo.

Il giorno dopo i braccianti entrano mostrando la carta d’identità, permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Lasciano il cartone sul cemento, trovano un tetto, un materasso, docce, gabinetti, ombra, un po’ di civiltà.
Entrano prima quelli con il contratto in mano, poi quelli che lo scorso anno hanno contribuito alle spese, poi si vedrà: ogni “ospite” paga venti euro mensili anche se senza contratto in mano. I posti sono 347. Le regole sono le stesse dell’anno precedente in cui un po’ tutti si riconoscono. Solo un uomo si infuria per i venti euro da anticipare.

MA IL SALVINISMO REALE che si materializza nella fine del permesso umanitario – che poi diventa speciale e poi sei clandestino – produce un afflusso di uomini da tutta Italia che non hanno mai fatto i braccianti e arrivano a Saluzzo perché sanno che qui ci sono lavoro e contratti.

A cento chilometri da Saluzzo un esercito di sconfitti e impauriti, da mesi, scappa in Francia attraversando le Alpi, a piedi. Sono quelli che passano dal colle della Maddalena, valico alpino poco distante dai campi di frutta del saluzzese: percorrono trascinando le loro valigie anche quaranta chilometri.

Diecimila all’anno passano lungo la rotta alpina: le espulsioni di massa di cui il ministro si vanta sono reali e basso costo per lo Stato. È sufficiente farli scappare.

«Faccio cose tremende, ma se non le faccio salta il banco. L’obbiettivo, quest’anno, è non lasciare nessuno per strada. Ma se non cambia la legislazione nazionale, con l’introduzione di un modello d’impiego centralizzato e statale che canalizzi l’offerta di manodopera in agricoltura, ci troveremo sempre a rincorrere le pure forze del mercato», racconta il sindaco di Saluzzo Mauro Calderoni, mentre osserva gli operai che alzano l’orribile muro di lamiera che ha fatto costruire sul viale, affinché i braccianti che non entrano nel Pas (Prima Accoglienza Stagionali) rimangano chiusi dentro un perimetro tenuto d’occhio da Polizia locale e Carabinieri. Calderoni è del Partito Democratico e nel territorio più leghista del Piemonte a maggio è stato riconfermato sindaco: si è presentato a capo di una coalizione civica.

Il mito del salvinismo reale si schianta contro la realtà: le aziende vogliono gli africani, e quelli che hanno messo la croce sulla Lega alle elezioni europee e regionali, sulla scheda elettorale per l’elezione del sindaco di Saluzzo hanno scelto un uomo che negli arrabbiati bar di paese è bollato, senza la minima ironia, così: «Mezzo terrone, mezzo comunista».

DIFFICILE IMMAGINARE un binomio peggiore, da queste parti.

In sei mesi nel 2018 sono stati registrati 1772 contratti, in totale nel Pas (Prima accoglienza stagionali) sono transitate 934 persone, ed è costato circa 400mila euro finanziati precipuamente da fondazioni bancarie e regione Piemonte. Da notare che i braccianti africani e le ricche aziende del territorio hanno contribuito quasi in pari misura: diciottomila euro i primi, ventiduemila le seconde. Queste in maniera volontaria, dato che nessuna legge le obbliga.

Sempre nel 2018 circa duecento rimasero fuori dal campo e occuparono un capannone, poi sgomberato in autunno.

IL COMITATO ANTI RAZZISTA di Saluzzo picchia duro sull’intero sistema ortofrutticolo saluzzese: nel 2011 furono i primi a imbastire la rete di solidarietà che toglieva i braccianti africani dalle banchine della stazione ferroviaria. «Il caporalato c’è, lo sfruttamento c’è, e le risposte del territorio sono insufficienti. Ci vogliono controlli in azienda da parte della Guardia di Finanza, e devono essere serrati. Inoltre ai braccianti deve essere riconosciuto il domicilio dentro al Pas che in ogni caso è insufficiente e inadeguato, dato che tutti i braccianti devono avere una casa». Richiesta non proprio lunare se si pensa alle centinaia di cascine che marciscono in questo territorio. Anche perché mentre tutti ronzano come api intorno al Pas di Saluzzo ci si dimentica che oltre i due terzi degli stagionali, non solo africani, hanno un posto in azienda. Che questo corrisponda a un contratto regolare e un alloggiamento dignitoso per tutti nessuno può dirlo.

Hanno fatto scalpore le parole del procuratore capo di Saluzzo, Onelio Donero, pronunciate a seguito di un’operazione anti caporalato a marzo: «L’inchiesta dimostra che il fenomeno nella zona è consolidato e organizzato, presente sul territorio da almeno cinque anni: quindi può essere replicato. Speriamo che quello scoperto sia il primo e unico caso, ma temiamo che non sarà così: difficile che riguardi solo un’azienda. Siamo preoccupati per l’immediato futuro. Sappiamo che il lavoro stagionale dei braccianti è una delle ricchezze del territorio». Oltre quaranta persone vivevano in condizioni disumane, due imprenditori della zona e un caporale sono stati arrestati.

«PER QUESTO LI REGISTRIAMO tutti – si fa scappare un ufficiale che assiste il primo giorno alla registrazione dei braccianti africani – così possiamo andare a controllare che le aziende non ne tengano uno in regola e tre in nero, oppure che non riconoscano la giornate effettivamente lavorate». Nell’ecosistema che ruota intorno ai braccianti africani in controluce si vede l’agire di uno strano meccanismo, in cui in molti puntano alla rottura affinché nuovi equilibri si formino.