La più grande strage di migranti del Mediterraneo rischia di essere ricordata tra polemiche e contestazioni. Tira una brutta aria in questi giorni a Lampedusa, l’isola siciliana divenuta suo malgrado il simbolo dell’emergenza immigrazione. Il prossimo 3 ottobre verrà ricordata la tragedia che un anno fa è costata la vita a 366 tra uomini, donne e bambini stipati a bordo di un barcone partito dalla Libia e affondato a meno di un miglio della costa ma anziché unire, il ricordo di quelle vittime – provenienti da Eritrea, Etiopia, Somalia, Ghana e Tunisia – ha diviso gli organizzatori delle celebrazioni.

Nei giorni scorsi cinque membri del direttivo del Comitato 3 ottobre si sono dimessi prendendo le distanze dalle iniziative messe in campo e in particolare perché, a un anno di distanza da quel drammatico giorno, ancora nessuno degli obiettivi che il comitato si era dato – approvazione di una legge che istituisse il 3 ottobre come giornata dellaMemoria e dell’accoglienza e avvio delle procedure di identificazione delle vittime – è stato raggiunto.

Ma non solo: «Avremmo voluto che il 3 ottobre si potesse stare tutti in silenzio, uniti nel ricordo e in una preghiera comune a tutte le religioni. Avremmo voluto evitare le strumentalizzazioni e le passerelle politico-istituzionali», hanno scritto i dimissionari in disaccordo con il comitato anche per la decisione di far incontrare i superstiti della strage con alcuni politici, italiani ed europei, attesi sull’isola. Proprio la presenza di rappresentanti del governo Renzi e politici in arrivo da Bruxelles, ha fatto da detonatore alle proteste.

Dal 1 al 5 ottobre l’Arci, tra gli organizzatori delle celebrazioni, ricorderà la tragedia con Sabir, «festival delle culture mediterranee» in cui tra dibattiti, concerti (Fiorella Mannoia) e spettacoli teatrali (Ascanio Celestini è già al lavoro sull’isola) verranno ricordati i migranti che hanno perso la vita. Per il 3 ottobre, giorno del naufragio, era stato però deciso di mantenere un basso profilo, spostando al giorno prima o a quello dopo un convegno organizzato dal Comune di Lampedusa con la partecipazione di politici. Poi, però, il presidente del parlamento europeo Martin Schultz, che un anno fa si è recato a Lampedusa, ha chiamato il sindaco Giusi Nicolini annunciando il suo arrivo proprio per il 3 ottobre. Cosa che ha costretto a spostare la data del convegno proprio nel giorno in cui si ricorda la strage. Il rischio di una «passerella», come la chiama chi si prepara a contestare l’iniziativa, c’è tutto.

Oltre a Schultz è prevista la presenza al convegno – che si terrà all’interno dell’aeroporto dell’isola trasformato per l’occasione in una sorta di fortino – del ministro degli Interni Angelino Alfano, del ministro degli Esteri e prossimo rappresentante della politica estera dell’Ue Federica Mogherini e della presidente della Camera Laura Boldrini. «E’ un’iniziativa istituzionale e non abbiamo voluto lasciare sola il sindaco Nicolini in un momento così difficile. Però il convegno non ha niente a che fare con Sabir», tiene a precisare Filippo Miraglia, responsabile immigrazione per l’Arci. «Non possono venire qui a prenderci in giro. Loro hanno la responsabilità politica di queste morti e per questo li contesteremo», spiega invece Giacomo Sferlazzo dell’associazione Askavusa che sulla tragedia di un anno fa ha preparato una video-inchiesta con le testimonianze dei migranti superstiti che verrà presentata nei prossimi giorni.

Va detto che motivi di malumore non mancano. All’indomani della tragedia a Lampedusa, insieme a Schultz arrivarono l’allora presidente della commissione europea Luis Barroso e la commissaria agli Affari interni Cecilia Malmstrom: commozione e grandi promesse, poi però cadute nel vuoto.

Di fatto l’unico a muoversi, e velocemente, fu il governo Letta dando avvio alla missione Mare nostrum che in undici mesi ha permesso di salvare oltre 110 mila migranti. Uno sforzo enorme sia di mezzi che economico (la missione costa 9 milioni di euro al mese), che però non ha potuto mettere fine alle morti in mare: si calcola che siano 2.500 i migranti affogati dall’inizio dell’anno. Oggi la situazione rischia di cambiare in peggio.

Parole come «frontiere» e «confini» tornano a farsi sentire in modo pesante e il ministro Alfano, che pure in questi mesi ha più volte difeso Mare nostrum, ora non vede l’ora di chiuderla per sostituirla con Frontex plus, la nuova missione europea (oltre all’Italia ne fanno parte Francia, Spagna e Germania) dagli obiettivi ancora incerti.

Di sicuro si sa solo che Frontex plus agirà all’interno di acque territoriali italiane, un «confine europeo» secondo Alfano, mentre oggi le navi della Marina militare arrivano fino ai confini delle acque territoriali libiche. Questo arretramento avrà come conseguenza un aumento delle miglia marine a rischio per i migranti, mare aperto dove in caso di naufragio non si potrà certo intervenire con la velocità di oggi.

E la cronaca dice che le tragedie non mancano, come dimostrano gli oltre 300 migranti morti pochi giorni fa al largo di Malta dopo essere stati speronati dagli scafisti perché si erano rifiutati di obbedire a un loro ordine.

Per quanto riguarda la strage di Lampedusa, va ricordato anche come a un anno di distanza non siano ancora cominciate le procedure per identificare i migranti morti nel naufragio. E’ una delle cose che i familiari delle vittime e i superstiti chiederanno ai politici il prossimo 3 ottobre nella speranza, questa volta, di ricevere risposte precise almeno su questo punto.