Dapprima rassicurante, poi allarmante, infine estenuante proprio come la quotidianità che racconta, Die Frau Des Polizisten (La moglie del poliziotto) di Philip Groning ben conosciuto per il suo Grande silenzio sui monaci Certosini, non ha bisogno neanche in questo caso di troppe parole, anche se in cambio utilizza un considerevole spazio di tempo (175 minuti). Senza parole il primo, senza pietà questo, appena visto in concorso.

Bisognerebbe lasciare al pubblico tutta la scoperta, non anticipare nulla, se non che è una vicenda che si svolge in ambito familiare, ma tanto già fin dalle prime immagini si capisce che non è un film come gli altri. In un’epoca di post cinema come ha appena evocato Paul Schrader bisognerà lasciare nel passato parecchi canoni stabiliti, punti di riferimento precisi, perfino l’appassionante mescolanza di generi che è sembrata per un po’ di tempo la chiave di qualunque opera accettabile. Tutto diviso in brevi capitoli contenenti scene familiari, a un certo punto di questa scansione scatta l’ allarme nello spettatore e non lo abbandonerà più fino alla fine, perché qualcosa di inevitabilmente drammatico accadrà in quella dolce famigliola del villaggio tedesco ai margini dei boschi e della campagna. Troppe canzoncine amorevoli insegnate alla piccola figlia, troppa tenerezza. Troppo ordine meticoloso. Un po’ come un tempo in un film scattava l’allarme se in un film si sentiva un carillon. L’eliminazione della continuità del racconto (è una storia di maltrattamenti in famiglia) non è una trovata, ha un suo preciso significato.

La cesura del primo capitolo che avviene dopo pochi secondi è accolta con divertimento. Ma via via che i capitoletti si susseguono ci troviamo ad osservare la ripetizione di giornate che potrebbero essere tutte uguali nella loro serenità, e che invece nascondono indizi sempre più lancinanti. Bisogna essere spettatori un po’ allenati ed anche in controtendenza, e che si divertano a scoprire gli indizi visivi in un lasso di tempo così dilatato. In fondo la storia è scritta non con la fretta dei pochi secondi con cui un telegiornale liquida i femminicidi, né con la retorica degli sceneggiati su questi casi.

Die Frau Des Polizisten scompone i frammenti di una vita che scorre normalmente a lungo finché non scoppia. A un quarto circa del racconto si sono già radunati abbastanza indizi per capire che succederà qualcosa di irreparabile ma non si sa a chi. Forse un suicidio, forse un incidente, una morte improvvisa. Uno di quei nascondigli segreti nei sotterranei raccontati dalla cronaca nera. E poi c’è la pistola che all’inizio il poliziotto ripone nello sgabuzzino. Ogni frammento di vita è una messa in scena netta e precisa, come un marchio di fabbrica del regista e potrebbe essere anche la parte per il tutto, visto che ogni frammento racconta la storia per intero, non c’è bisogno di vedere i lividi sulle braccia per capire la violenza. Basterebbe vedere quei giochi stupidi tra marito e moglie: le freccette, le bolle di sapone che si lanciano l’un l’altro, agghiacciante sottotesto. Resta un dubbio: ma i poliziotti non erano addestrati per non lasciare tracce sul corpo dopo i pestaggi?

Della storia resta un misterioso vecchio solitario, ma duro a morire, proprio come quella vecchia carogna del padre in Joe di David Gordon Green, altro film in concorso, regista dell’Arkansas trapiantato a New Orleans, premiato a Berlino come miglior regia per Prince Avalanche, conosciuto per il suo stile Gotico del sud.

Nel Texas è ambientato questo film piuttosto convenzionale per i tanti riferimenti ben collaudati: i duri, tra cui primeggia il protagonista Nicholas Cage, un bravo ragazzino (Kye Sheridan) fiore cresciuto nel fango, con padre alcolizzato sorellina diventata muta all’improvviso (è facile indovinare perché), le simpatiche prostitute del bordello all’angolo, i cani migliori amici dell’uomo, lo sceriffo, il saloon, i giocatori di dadi, la ferrovia, le pistole sempre fumanti, ferite tenute insieme con nastro adesivo, scazzottate da veri uomini. In questo ambiente post post western, con i residui dei vecchi valori, l’unico lavoro che si può trovare modernissimo: si tratta di avvelenare gli alberi a centinaia, e piantarne altri più resistenti. Joe, il capocantiere, diventerà un padre adottivo per il ragazzino, questione di affinità elettive, in fondo sono due bravi ragazzi che facilmente possono finire molto male. Stai eretto come se fossi il padrone del mondo, gli insegna per rimorchiare, con un’espressione di estremo dolore trattenuto, come se pensassi: ho un sacco di problemi ma posso farcela. E infine sorridi. In sintesi, la principale espressione di Nicholas Cage.