Che Pippo Delbono ambisse all’«opera totale» era evidente da molti anni, forse già a partire dalla formazione per la quale aveva rifiutato una normale scuola di teatro, per attingere all’insegnamento da parte di una coppia «peccaminosa» di teatralità, Iben Nagel Rasmussen e Pina Bausch. Entrambe maestre nel privilegio del corpo, ma l’una rifacendosi attraverso Barba e Grotowski alla gestualità orientale, l’altra mescolando alla danza la parola, la musica e un innegabile glamour. Delbono continua a rivendicare quei due insegnamenti, e da tempo sul palcoscenico si misura con le masse, con la musica (e perché no, bande e orchestrine in scena), con i corpi e con le parole, facendo in modo che da quel mix i sentimenti sgorghino puri e forti. Insomma l’opera lirica, cui ha cominciato ad avvicinarsi «scientificamente» (ovvero con la regia) già dall’anno scorso con la Cavalleria rusticana di Mascagni allestita al San Carlo. Poi ha realizzato un Don Giovanni in Polonia, ed ora affronta Puccini, con la Madama Butterfly (oggi l’ultima replica per il festival estivo del San Carlo). Musiche molto diverse ma tutte di roboante bellezza (e popolarità), e tutte incentrate sull’eros. Che sia trionfante all’apparenza o sconfitto, l’amore è un terreno capitale per l’umanità, e questi tre esempi non è strano costituiscano i gradini di una autobiografia dei sentimenti che Delbono va tessendo per farne patrimonio collettivo.
Anche qui l’artista è presente in scena. Anzi apre il sipario con un ricordo che è una dedica sentita e dolorante alla sua prima attrice che non c’è più, Lucia Della Ferrera. Poi sulla scena molto elegante (i sentimenti grandi hanno sempre bisogno di una cornice preziosa) di Nicola Rubertelli, si muovono le «figurine» che si faranno giganti. Ma i segni di Delbono si appropriano di quelle arie meravigliose e universalmente amat; l’ingresso di Bobò vestito da Arlecchino è uno scossone quasi più forte della violenza distruttiva che sta per abbattersi sull’amore di Butterfly e di Pinkerton.
A tutti è capitato di essere l’una o l’altro nei rapporti di coppia. Qui, rispettando la trama e la partitura, Delbono vi volteggia dentro appropriandosi o disfacendosi di quell’amore eccessivo e dal tragico destino. E quel fil di fumo penetra acre nel cuore dello spettatore. Mentre non lesinano sentimento Nicola Luisotti, che ha preso la direzione d’orchestra alla vigilia del debutto, e i cantanti protagonisti Raffaella Angeletti e Vincenzo Costanzo. Delbono procede dal suo teatro verso l’opera totale, totale anche nel senso che coinvolge parte di tutti noi, oggi.