A fine maggio l’ANSA dava notizia di un nuovo importantissimo ritrovamento: gli scavi di Pompei restituivano lo scheletro di una vittima dell’eruzione, morto probabilmente mentre tentava di fuggire dalla sciagura, decapitato da un masso di 300 kg. Sulla vicenda di Pompei ha lavorato di recente un giovane fumettista statunitense, Frank Santoro, che ha destato già l’interesse e l’ammirazione dei grandi nomi del comic d’oltreoceano, come Chris Ware. Dopo la sua partecipazione al Napoli Comicon, l’abbiamo raggiunto per parlare del suo ultimo libro, Pompei, pubblicato da 001 Edizioni.

1-Il fumetto è organizzato secondo vignette senza margine, questa volta sembri preferire quelle grandi, ed estese. Questo dispositivo serve ad abbattere i riferimenti di tempo. Sei d’accordo?

1_In Pompei ho usato vignette estese per mantenere il centro tematico ed evitare letture a zigzag come invece era successo In Storeyville (il lavoro precedente dell’autore Ndr). Come in musica, ho usato uno specifico andamento. Stavolta ero molto più cosciente del ritmo, e se la sensazione è quella di un racconto meno incentrato sul tempo a causa della mancanza di una gabbia simmetrica, sono soddisfatto perché volevo che sembrasse più aperto. Il ritmo di Pompei è basato su una struttura modale. Mi piace immaginare di poter trasportare idee musicali dentro al fumetto. Credo che sia un filone di pensiero prolifico, anche se i due linguaggi non combaciano perfettamente. In buona sostanza mi interessa mantenere il fulcro di ogni pagina e creare centri potenti per ogni stesura. C’è una struttura che si svolge come un andamento modale, dove io non suono accordi. Vedo la divisione verticale della tavola come un accordo che deve essere risolto: mantenendo questa struttura e il centro di ogni pagina posso improvvisare con il sentimento all’interno di questa restrizione che è però aperta: niente più letture a zig zag che spesso si leggono o ascoltano come un accordo difficile. Volevo che il lettore si dimenticasse dell’imposizione geometrica, che il racconto fosse quanto più naturale, che avesse uno svolgimento naturale. Ho preso molte di queste idee dalle esplorazioni di Miles Davis e Gunther Schuller nella musica modale e nel jazz di Terza Corrente dove c’è una tensione tra orchestra e improvvisazione.

2-La linea e il colore semplice che usi ricordano le pitture murali dell’epoca. Più in generale hai un approccio molto fresco alla rappresentazione, che è solo in apparenza basico, perché in realtà riesce a suggerire movimenti, atteggiamenti e sentimenti. La potenza della tua storia risiede in gran parte sull’uso versatile della linea. Come hai ottenuto questo risultato?

2-Grazie per i tuoi complimenti. Mi piace la freschezza e il fatto che il disegno sia chiaro e comprensibile, come una calligrafia. Il disegno è un linguaggio e voglio fare fumetti che assomiglino più al disegno e meno ad una rigida illustrazione. Mi piace anche quel tipo di fumetto, ma sono sempre stato attratto da uno stile documentativo che nei fumetti è generalmente meno apprezzato. Mi sembrava naturale disegnare una storia ambientata a Pompei con un approccio libero, alla “buona la prima”. E il modo in cui vorrei disegnare ogni giorno, un’azione come scrivere a mano, o pensare. La mia ricerca è stata quella di epurare il mio stile da ogni manierismo. Tendo ad avere un approccio neutro, documentaristico, un linguaggio che lo studente di arte che è dentro ognuno di noi possa capire. Una linea che è ricerca, fragile, ma che risulti allo stesso tempo forte e audace.

3-Nel libro vi è una visibile contrapposizione di due concezioni antitetiche dell’amore. Da un lato quello fedifrago, basato sulla convenienza, tra Flavio e la principessa; dall’altro quello romantico, giovanile e puro che supera le barriere sociali. Non giudichi mai l’uno o l’altro, perciò nemmeno il lettore è tentato a farlo, ma questa dicotomia rappresenta una certa costante nelle relazioni umane?

3.Volevo giocare con gli archetipi ma anche lasciare che i personaggi fiorissero per presentare le due facce di una stessa moneta. Mi piace che tu dica che non li giudico. Marcus ha bisogno di Flavio per imparare a dipingere, anche se deve mantenere i suoi segreti. Flavius ha bisogno della principessa per le commissioni. Vedo anche alba e la principessa come la stessa persona, in momenti diversi della sua vita. Le due facce dell’amore che rappresento possono essere una costante nelle relazioni umane, sì, ma il mio intento era quello di far spazio al finale così da poter mostrare come sarebbe potuto essere.

4-Il tuo lavoro è stato definito minimale a causa della sua estrema-ed apparente-semplicità. Per esempio usi solo due sfondi: il golfo e il vulcano. Nell’essenziale sequenza in cui Marcus legge la nota che Lucia gli ha lasciato, partendo durante l’eruzione, riesci a significare la perdita e la disperazione con vignette dalla composizione molto scarna. Hai disegnato da subito così, o sei arrivato progressivamente a questo assetto?

4. Volevo che il libro apparisse come una pièce. Renderlo così semplice da non poter ingannare né il disegno né le emozioni. Non mi interessava concentrarmi sui costumi del periodo o sui palazzi specifici e rimanere impigliato in troppi dettagli. Volevo che ci fosse una sensazione di quotidianità. La sequenza che citi è come una colonna sonora carpita nell’aria. Tutta la sequenza dopo l’eruzione è un tentativo di strizzare il tempo e lo spazio mantenendo la connessione tra gli amanti. Mi piacerebbe poter dire che sapevo quello che stavo facendo ma è stata una di quelle volte in cui la canzone è lì e devo solo trascriverla al meglio.

5-Utilizzi annotazioni testuali come in un copione teatrale, suggerendo entrate e rumori di fondo, una tecnica che, aggiungendo informazione per il lettore, mette in discussione la semplicità nella composizione. Questa sorta di myse en abyme è un modo per far dialogare il classicismo e la contemporaneità?

5-Sì, una conversazione tra postazioni teatrali e idee classiche, perché mi piace proporre un approccio dialogico ai fumetti e alla sequenza. Ricordiamoci di come le didascalie o lo storyboard condizionano il nostro pensiero narrativo. Le annotazioni testuali mi vengono naturali, come disegnare un paesaggio, annotare un colore, o qualcosa che non può essere spiegato solo con il tratto- disegnare è come scrivere, e di nuovo propendo verso ciò che risulta intuitivo e aperto. Certamente, anche le parole sono simboli e giocano in contrasto o a sostegno delle immagini. Annotare il testo viene spontaneo quando si disegna ciò che non è disegnabile.

6-Insieme a Flavio, Marcus, Alba e la principessa, i soggetti stessi delle tele diventano personaggi, primo tra tutti il Vulcano. La vocazione dell’artista è quella di rendere immortale ciò che rappresenta? Com’è cambiato questo ruolo nel tempo?

6. Viviamo d’arte molto di più di quanto non sappiamo e spesso l’artista non sceglie i lavori per i quali verrà ricordato, di conseguenza molti capolavori sono anonimi. Esistono piccoli sketch del Vesuvio nelle rovine di Pompei- mi sono stati utili come fonte- ma è difficile incontrare disegni che descrivano il paesaggio. Quindi forse è vero che la vocazione dell’artista è quella di portare in vita questi frammenti di poesia. C’è anche un’inversione della gerarchia tradizionale laddove il piccolo sketch ha più importanza di un grande opera solo perché ve ne possono essere di più, come degli snapshot dell’antichità. Oggi la fotografia svolge questo ruolo, anche se guardare e vedere e disegnare ciò che uno vede e sente è un processo molto diverso. È più vicino alla scrittura o alla poesia. E la missione dell’artista è la stessa, comunicare con poche linee: quelle che riescono ad avere vita propria e a dipingere ciò che non può essere fotografato. Quando questo accade, siamo di fronte a un autore moderno.

7-Nella sua smania di documentare l’eruzione, Marcus si rende testimone di una forza oscura. È un momento cruciale: il protagonista utilizza le sue abilità per evitare la fine, per sfidare la morte, per capire l’evento stesso e lasciarne traccia. La pittura è del resto l’argomento principale del tuo lavoro, è il mestiere dei tuoi protagonisti…fino a che punto l’arte può salvarci dall’ultima catastrofe?

7-Sembra trito parlare di aver disegnato le torri che bruciavano l’11/9 ma è stato quello che ho fatto, insieme a molti altri amici quel giorno a New York. Subito dopo abbiamo fatto un po’ di sport e distrarci-con una piuma gigantesca di fumo sullo sfondo. Pensavamo tutti che saremmo morti sepolti dalla polvere. È stato naturale trasporre quella sensazione alla storia. Ho visto anche come lo studio di un artista diventa un palco. I collezionisti, i visitatori, i modelli, tutti vogliono prender parte all’arazzo della narrazione. Con Pompei la scena era già allestita. E se posso trattare gentilmente le emozioni umane, allora forse posso avere accesso al bisogno o al desiderio di essere ricordati e di testimoniare che credo tutti condividiamo. Ricordo di aver provato a distrarre le persone care disegnando, in ogni caso per avvicinarmi a quella persona-come dici tu-per sfidare la morte, ossia il tempo.

8-Quando ho visitato Pompei e Cuma sono rimasta molto colpita dall’atmosfera, avvolta da quello che definirei “il respiro infinito del tempo”. Sembra una sciocchezza, ma in un certo senso è lo stesso “movimento statico” che riconosco del tuo lavoro. Capisci cosa intendo?

8-Grazie, mi interessa quella staticità. La cosa che mi piace di fare fumetti è mostrare la tensione tra movimento e staticità, così come la tensione tra i due poli. L’animazione si basa sul tempo, la pittura sul concetto di un’immagine per volta. Il fumetto offre molto di più: mi piace rallentare e mostrare la scena, il set, anche se è spoglio, come in Pompei, dove questa staticità è un accenno al passato. Poi c’è il tempo di lettura-un’esperienza diversa del tempo-quel tic tac-che si può scegliere se far durare a lungo. È il lettore che partecipa in quel movimento o in quella staticità, ed è questo che volevo sfruttare nel libro.

9-Sei stato a Pompei? Come ti è sembrato e come hai deciso di fare questo libro?

Sì, ci sono stato nel 2002 subito dopo l’11/9 e poi sono stato a Paestum nel 2005. Mi pare scontato dire che sia qualcosa che ti cambia la vita. L’impressione più potente è stata quella della naturale disposizione dello spazio-qualcosa per cui non avevo le parole, uno schema attraverso il quale muoversi nello spazio, oltre a un linguaggio diverso nei colori e nelle pitture, offerto senza il nostro moderno sfarzo prefabbricato; i disegni murari nello specifico, l’immediatezza della prima ripresa-lontana dalla perfezione dei Greci-più popolare. Ho deciso di fare il libro perché volevo raccontare il lavoro che ho svolto per i pittori intorno all’evento dell’11/9: arrivato a Pompei ho capito che potevo trasporre la storia e unirvi il mio amore per l’epoca classica italiana. Ci sono voluti anni, ma ne è valsa la pena. Sono felice di averlo fatto.